Luoghi comuni
Odio i luoghi comuni. Mi danno fastidio. In essi colgo la rinuncia all’originalità d’espressione, o della autonoma capacità di pensiero. Per esprimere un’idea, o una valutazione, ci si deve affidare al pensiero d’altri? Passino i proverbi, accettati come saggezza dei popoli … ma anche questo è un luogo comune. Ora va di moda Leon Tolstoj, che fa dire ad Anna Karenina: tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. È vero? Non lo so, forse non vale nemmeno per la felicità, che per me sempre si colora di mille sfumature. Ma Tolstoj è Tolstoj, e nessuno si sente di criticare.
Mi sono fermato a studiare la porta d’ingresso d’un ricco palazzo nel più popoloso paese dell’Alta Valle di Non. La porta non sembra antica, anche se i rilievi che la ornano lo farebbero pensare. Vi spiccano quattro formelle scolpite nel legno, e tutte sono ornate con tralci d’uva, che simboleggiano l’abbondanza, la ricchezza. La casa è certamente di fattura ricca, e di antica nobiltà.
Le formelle rappresentano la testa di un uomo, con espressioni molto differenti tra l’una e l’altra.
Mostrano le fasi della vita - dice qualcuno accanto a me - dalla giovinezza spensierata fino alla sofferenza della morte. Si, può essere - rispondo borbottando, ma mi disturba il luogo comune che sarebbe contenuto in tanto fine lavoro di scultura. E poi, perché quattro formelle? Ne basterebbero tre, giovinezza, maturità, vecchiaia.
La formella che ritrae la morte mi fa pensare. Sembrerebbe che il personaggio sia mancato a seguito di un accidente, forse una caduta, od uno scontro fisico e violento con qualche nemico. La testa è fasciata, e l’espressione del volto racconta grande sofferenza. Potrebbe però ricordare anche la peste, riportandoci al 1630, quando anche gran parte del Trentino venne spopolata a causa di questo terribile male, che copriva il corpo di bubboni come quelli che deturpano il volto lavorato nel legno della quarta formella. Ecco, sarebbe un racconto di storia, come molti altri segni d’arte, in genere affreschi, che abbelliscono le pareti dei palazzi del paese. Molte pitture ricordano pellegrinaggi, come a San Jacopo di Compostela, altre sembrano un ringraziamento per essere sfuggiti alla peste. Tutti riportano date tra la metà del quattrocento e la metà del diciasettesimo secolo.
Ma no - ride qualcun altro dietro di me - non sono le fasi della vita, ma il racconto di un matrimonio sbagliato! Come? - chiede chi aveva parlato per primo. Ma non vedi? - continua quell’altro - appena sposato lui è felice, ed allegro. Si gode il matrimonio, e la ricchezza. Poi cominciano le discussioni, come indica la seconda formella, e gli anni scorrono in una crescente distonia familiare, che molto avvilisce il nostro riccone immortalato sulla porta di casa. Infine lui muore, forse malmenato col matterello dalla moglie, vedi i bernoccoli e la fasciatura, insofferente delle sue scappatelle. Nemmeno i soldi l’hanno salvato!
Rido, e son contento.
Questa storia ha cancellato uno spiacevole luogo comune.
Franco, 10 luglio
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