Fratelli


Qualche volta mi portavano con loro, al lago, per andare in barca. 

Ci andavamo a piedi, partendo dalla casa dei nonni. Scendendo il monte ero felice per l’avventura che mi attendeva. Raccontavo, ridendo e saltellando di gioia, tutto quello che avrei voluto fare, giù al lago.

I fratelli allora cominciavano a narrare storie terribili. 

Dicevano che le acque del lago nascondessero pesci mostruosi, capaci di mangiarsi un bambino in un sol boccone. 

E poi, continuavano, vicino alle rive crescevano piante malefiche, con fiori galleggianti e fusti lunghi e flessuosi che in un attimo si avvinghiavano alle gambe e alle braccia del malcapitato che si fosse chinato dalla barca per raccogliere quei magici fiori. 

Ancora più pauroso era il racconto delle fate, o delle streghe, che di giorno nuotavano invisibili nell’acqua profonda confondendosi tra i pesci; ne uscivano solo al crepuscolo per compiere i loro sortilegi quando sorgeva la luna, e trascinavano in acqua chi ancora si attardava sulla riva. Meglio correre a casa prima del calar del sole.

Quei racconti mi raggelavano. Mi passava la voglia di scendere al lago. Ero l’unico bambino che se ne stava immobile, seduto in una barchetta che scivolava sulle placide acque del lago punteggiate di candide ninfee.

Anni più tardi ebbi l’occasione di pensare che anche a Marc Chagall avevano forse narrato storie paurose sul lago di Fimon.


Franco 





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