Dazio


Ogni tanto il papà andava dai nonni, in campagna, a recuperare il vino. 

Tornava di sera, col buio, per evitare il dazio. 

Brutta roba il dazio: si pagava per portare a casa la roba che è tua, che hai fatto tu. E qualche volta pure la sequestrano: “ti fermano per un controllo, cerchi di discutere chiarendo le tue ragioni, il finanziere s’arrabbia e in un attimo scatta il sequestro”. Così ci raccontava il papà, quasi con rabbia. 

Il dazio sul “tuo” vino sfiorava il peccato mortale; era come una bestemmia, un sacrilegio. 

Il papà, che pure era un cittadino ligio e rispettoso delle leggi, si infuriava all’idea dei finanzieri appostati, nascosti, lungo la strada. Non so se fosse mai incappato nei loro controlli, ma so bene invece che la mamma si preoccupava tantissimo all’idea che, per evitarli, andasse in campagna al calar della notte.


Rido di gusto ancora oggi, a distanza di settant’anni, al ricordo del papà che  una sera tornò a casa con uno strano passeggero sulla sua Topolino: una grossa damigiana con la sciarpa al collo e il cappello calato sul tappo. 

“Il dazio è proprio una pratica assurda e ridicola”, sentenziò quella volta il papà rimettendosi in testa il cappello!


Franco



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