Imperina


Era poco più di un pulcino quando il suo nido fu avvolto dalle fiamme.

La trovarono i forestali, e se ne presero cura come fosse un uccellino caduto a terra prima dell’involo.

Era cieca, e non sarebbe sopravvissuta senza la mamma.

M. non aveva certo le ali, né gli artigli e il becco adunco di un’aquila, ma riuscì a far da mamma alla povera … Imperina, La chiamarono così, come la valle in cui le fiamme le avevano divorato la casa.


Quando ha fame, Imperina grida come un’aquila, ed M. corre a sfamarla. 

Può farlo solo lei: di mamma ce n’è una sola, e l’aquila la riconosce dalla voce, dal respiro, o forse dall’odore. A chiunque altro non è concesso avvicinarsi. 

Lei è lì, in alto, nella sua immensa voliera, fiera come fiere sanno essere le regine del cielo.


Si sa, amano fare la doccia, le aquile. Adorano lo scroscio delle cascate sulle penne, e poi asciugarsi al sole.

Imperina, col suo richiamo, che tutti riconoscono, fa sapere quando è il momento della pulizia. S’accontenta della pioggia artificiale dell’annaffiatoio … vedeste come è brava e come ama lavarsi a fondo. 

Non le basta però un attimo di spruzzi sulla testa e sul dorso. M. deve aspettare che apra prima l’una e poi l’altra ala, e che tutte le penne siano ben “annaffiate”. 

Solo allora Imperina ringrazia, con garbo, strusciandosi col capo e col becco contro le sue ginocchia.


Proprio un’aquila affettuosa …  molto legata alla famiglia.


Franco








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