Roncola
Me la regalò il nonno, e subito mi sentii grande, come i miei fratelli.
Il manico era d’osso; era un po’ scheggiato, ma l’avevo sempre vista così, e per me era come una ferita di guerra, una medaglia al valore.
La lama, curva come sono le lame delle roncole, aveva un odore di ferro che mi era sempre piaciuto. Era il profumo delle cose robuste, di quelle che durano per sempre.
E poi il nonno mi aveva fatto apprezzare il filo: vedi, taglia la carta di netto, senza piegarla. Devi averne cura, e rispetto.
Non lo ascoltai; avevo troppa voglia di mettermi la roncoletta in tasca, di farla vedere a Dario, mio cugino. Guarda come taglia la carta, gli dissi. La lama tagliò una, due, tre volte il foglio, che divenne via via più piccolo, passando sempre più vicino alle dita.
All’ultimo passaggio mi tagliò la pelle del pollice.
In un attimo capii cosa il nonno intendesse dire con la parola rispetto.
Vedi, mi aggiunse più tardi, i coltelli bevono il sangue degli stupidi.
Mi offesi a morte, ma quel pensiero non l’ho più dimenticato!
Franco
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