Simboli
Mi diedero il berretto alla prima riunione dei lupetti.
Neanche ricordo il gruppo cui fui assegnato; me ne stavo sull’attenti, timido di fronte alle novità.
Il berretto verde, a spicchi coi bordi dorati in rilievo, però mi riempiva d’orgoglio: era come la bustina dei soldati che difendevano la Patria, il cappello dei poliziotti o quello col pennacchio dei carabinieri.
È il simbolo della nostra comunità, disse Akela, il capo del branco, mentre gli altri capi annuivano; il Parroco aggiunse che, per questo motivo, dovevamo avere rispetto e cura del berretto, con tutte le forze.
Fu un attimo. Un colpo ben assestato, da dietro, e il berretto volò via.
Che pollo, rise qualcuno dietro di me. Di sicuro un ragazzino di un’altra comunità, magari “Miscredente”. Un nemico.
Prima che ci riuscissi io, un altro ragazzetto aveva raccolto il berretto e lo aveva rilanciato al primo. Ridendo.
Dammelo, gridai, ma il berretto era volato ancora una volta verso le mani tese dell’altro ragazzino dispettoso.
In scivolata, il mio ginocchio colpì con forza e precisione il basso ventre del nemico, che urlò piegandosi in due. Continuò a lamentarsi, come se gli facessi ancora male.
Furono tutti lì, compresi i capi e il Parroco.
C’era anche il colpevole: io.
Spiegai cosa era accaduto. Non bastò.
Non ho usato tutte le forze, ma ho avuto cura e rispetto del simbolo che mi avete dato! Esclamai ricordando con precisione le parole dette dai grandi.
Fu risolutivo.
Un risultato inaspettato anche per me
Perciò a casa chiesi alla mamma cosa mai avessero voluto dire Akela e il prete.
Franco
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