Tacchino


La mamma lo adorava. 

A me non piaceva nemmeno l’odore che si diffondeva dalla cucina quando veniva preparato.

Se si era dai nonni, in campagna, evitavo anche la corte quando ne vedevo qualcuno in giro. 

Bestia pericolosa, aggressiva, soprattutto il maschio. La femmina no, spesso era una mamma dolcissima con tutti i pulcini, i suoi e quelli degli altri volatili del cortile: galline, faraone, anche oche ed anatre. 

Insomma, il tacchino era proprio “strano”.

Una volta venni circondato da una decina di queste bestiacce: ali semiaperte e abbassate fino a terra, ruota dispiegata a ventaglio, quel terribile verso che sembra un gargarismo … e si muovevano in cerchio verso di me, un passo alla volta, in sincronia, come obbedendo al comando del capo. 

Ero paralizzato dalla paura. Mi salvò la Tilde, a colpi di scopa.


La mamma li chiamava Dindi. 

Dindio … che nome!

E poi, in un attimo, ho capito:mancava l’apostrofo! 

D’India … che viene dall’India.

Il nome ha attraversato i secoli. L’India è quella scoperta da Colombo.

Indiani sono rimasti i nativi Americani. Almeno nei film di cow boy che vedevo al cinema parrocchiale.

Ieri ho ricevuto da mio figlio una foto scattata davanti alla porta dell’ufficio, a Mountain View, California. Un Dindio originale, selvatico!


Ci sono parole fantastiche che conservano per centinaia d’anni il loro fascino colorato dalla storia, dalle leggende e dalle convinzioni geografiche degli antichi esploratori.


Eppure il Dindio continua a non piacermi!


Franco



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