Chiodo


Ero magro come un chiodo. Le ossa si vedevano bene, quasi tutte, e con le dita se ne poteva percepire ogni particolare. Senza alcuna fatica si vedevano anche i muscoli, col loro decorso.

Insomma, ero ben seguito da tutti i futuri medici alloggiati nello Studentato in cui mi ero trasferito l’ultimo mio anno d’Università. 

Alza la maglia …  Stenditi un momento … Piega il ginocchio, fletti il piede, il gomito, …

Dio che scoliosi! Ma come tieni la schiena … questa si che è lordosi! … Ecco, tra la sesta e la settima toracica, interessante … 

Una sofferenza! Speravo anche in qualche suggerimento clinico, ma mai nessuno mi ha indicato una terapia per le magagne che mi venivano riscontrate.


Mi prestai anche al primo intervento chirurgico di Carlo, e non era ancora laureato.

Si, apri ancora un poco, mi disse dopo che gli avevo detto di un possibile ascesso in bocca, forse un molare. 

Mah, si vede quasi niente … ripeté guardandomi la gengiva con una certa difficoltà … passami un batuffolo di cotone e le tue forbicine … continuò con la morosa che sbirciava perplessa la scena standosene sulla porta della cucina. 

Mi mise il cotone in bocca. Guarda se c’è di meglio, continuò con la morosa, ma invece di mostrarle le forbici, con decisione aveva già infilato nella gengiva le punte ricurve di quelle che stringeva in mano.

È stato un attimo, e sono stato subito meglio, davvero! La medicina moderna …


Ubi pus ibi evacua! Esclamò Carlo citando qualche medico della Scuola Salernitana, o ancora prima, un seguace di Ippocrate, roba di duemila anni fa.


Franco




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