Cucù 


Nel salotto dello zio Gianni c’era un Cucù. 

Ci sono stato malissimo quando ho capito che mi avevano preso in giro per tanto tempo … l’uccellino non era vero! Era di legno lavorato e dipinto, e ogni tanto se ne usciva dalla sua casetta per cinguettare, felice di avvisare gli zii che un’altra ora era passata. 

Che delusione! Un uccellino meccanico che si muoveva grazie a delle molle. Addirittura apriva le ali, ed anche il becco, come facevano i passeri sul tetto della zia Ada, o i rondinini che si sporgevano dai nidi appesi alle travi del tetto della casa del nonno. 

È svizzero, diceva con orgoglio lo zio Gianni indicando il Cucù, spacca il minuto! Non so cosa se ne potesse fare lo zio dei minuti spaccati da un uccellino meccanico, ma cominciai a guardare con meno ammirazione quella cosa canora appesa al muro del suo salotto. Anzi, la scoperta mi rese ancora più difficile inghiottire le zucchine, o i fagiolini che la zia mi versava nel piatto con tanta generosità. 

Accidenti agli svizzeri! Imbroglioni! Con tutti gli uccelletti che ci sono sul monte, proprio dalla Svizzera si doveva portare questo qua?


Mi sono ricordato del Cucù recuperando una lettera dal tavolo del mio studio; a tenerla ferma con altre uso come presse-papier un oggetto davvero singolare recuperato dal solito ferrivecchi, su in montagna: una pigna di abete rosso, pesantissima, fusa in ghisa. In un attimo si è accesa la memoria: ce ne erano due appese alla casetta dell’uccellino svizzero, a casa dello zio. Erano tenute sospese da catenelle, che Gianni ogni tanto manovrava con estrema attenzione per ricaricare il suo orologio. Quelle pigne erano dorate, forse di ottone, ma anch’esse erano pesanti. 

Non toccarle, si raccomandava lo zio, altrimenti si inceppa il meccanismo. Lì per lì, mosso dalla delusione, o dalla disillusione, pensai che con un buon tiro di fionda sarebbe stato più facile staccare una pigna dal Cucù anziché colpire l’uccellino. 

Poi mi ricredetti: era un bell’orologio, e metteva allegria. Correvo a guardarlo attraverso la finestra del salotto degli zii, alzandomi in punta di piedi sulle pietre della piccola aiuola che la zia Maria aveva sistemato per accogliere le sue splendide ortensie. Quelle della zia si riempivano di fiori azzurrini; le ortensie della mamma avevano i fiori rosati. La zia ci mette il ferro, sosteneva la mamma con un pelo di invidia. 

Ecco un altro trucco, avevo pensato io, non solo l’uccello meccanico degli Svizzeri, ora anche il ferro nelle ortensie. Ci sarà qualcosa di vero quassù sul monte?


Franco


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