Campane
Qualche volta Lucio sostituiva anche il campanaro. Lo faceva dopo che aveva servito la messa delle nove; lo scampanio era il segnale che di lì a poco ne sarebbe cominciata un’altra.
Il richiamo sonoro ai fedeli spettava al nostro cappellano, che però cedeva volentieri ad altri quel compito, che non presentava nessuna difficoltà se non quando dovevano rintoccare insieme tutte e tre le campane di San Pietro, cosa che accadeva piuttosto di rado.
Sono andato anch’io a giocare con Lucio nello stanzino a pianterreno del campanile. Era un locale piuttosto angusto, tetro per la poca luce che filtrava da un paio di feritoie.
Su di un lato, una scala di legno a pioli si inerpicava ripida e stretta fino ad una botola.
Sono dieci le scale per arrivare fino alla cella campanaria, mi disse Lucio.
Il papà calcolò che le campane si trovavano a circa trenta metri di altezza.
Erano dunque trenta anche i metri di corda che pendevano dalle campane fino alle mani di Lucio. Erano funi molto grosse, segnate all’estremità con spago colorato per distinguere le tre campane, che tra l’altro avevano un nome che proprio non ricordo.
Ricordo invece la fatica del mio amico quando cominciava a tirare la corda della sua campana, che lui chiamava el campanon. Doveva essere pesantissimo, perché all’inizio, pur tirando con tutte le forze, la corda si muoveva di pochi centimetri; in quel momento a volte mi chiedeva una mano. A poco a poco i centimetri aumentavano fino a quando lo sforzo congiunto portava al primo rintocco.
Allora diventava tutto più facile: bastava farsi trascinare in alto, aggrappati alla fune, fin quasi a toccare il soffitto di legno della stanza; poi era lo stesso nostro peso a dare nuovo impulso alla campana.
Lucio contava i rintocchi; al momento giusto lasciava andare la fune, e lentamente la campana batteva ad intervalli sempre più lunghi, fino a spegnersi.
In quel momento Lucio ed io eravamo già lontani dalla chiesa, al campo di calcio della parrocchia, o in cortile di casa mia, a dar qualche pedata al pallone.
Quello era l’inizio della nostra domenica.
Franco
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