Cornus
Era tra i primi a fiorire. Una gioia per quell’angolo del giardino, un po’ scuro, triste per gli alberi da frutta spogli e rinsecchiti, che all’inizio della primavera restano ancora immagine dell’inverno.
Fiori gialli, minuscoli, alberello stentato, ma perché insisti a volerlo? Mi si obiettava.
Perché mi ricorda quand’ero bambino, era sempre la mia risposta.
Più dei fiori mi interessavano i frutti, le cornole, rossi come il sangue, dolci ed acidi insieme, odorosi come il vino quando li si lasciava a maturare troppo sui rami prima di portarseli alla bocca.
Che scorpacciate! E tornavo a casa con la bocca rossa, e la lingua violacea.
Lungo la strada che corre accanto al Piave per salire a Feltre, il corniolo si ammira in primavera, quando colora con l’oro i gradini di roccia del monte . Uno spettacolo, che racconta quanto quel cespuglio sopporti l’aridità, e resista al cocente riverbero del calcare.
Eppure questa terribile estate se l’è portato via, come tante altre piante del mio giardino.
È ancora lì, secco, con la corteccia spaccata. A guardarlo mi torna alla mente che il suo nome scientifico, Cornus, indicava l’asta dei legionari, l’arma per eccellenza, il pilum.
E Venezia ne destinava il legno agli attrezzi navali che dovevano essere duri e resistenti, come le caviglie usate per strozzare le gomene o per batterle quando le si univa l’una all’altra: impiombare, si diceva allora. Anche la punta degli alberi dei vascelli e delle galee era fatta col legno di corniolo: il massimo della resistenza all’umidità e al secco!
Eppure, il legno del mio corniolo s’è crepato. Forse voleva farmi sapere che lui non era adatto al giardino … ambiva la prima linea, la durezza dello scontro con un’ambiente severo, al limite dell’impossibile.
Peccato, non l’ho capito.
Tornerò però ad ammirarlo sul monte, così che, gustandone i frutti, per un attimo potrò tornare bambino.
Franco
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