Epidiascopio
Il Professore voleva che indossassi il camice. Soprattutto quando lo accompagnavo a lezione.
Che poi erano le prime due lezioni … e le ultime due; qualcuna anche verso la metà del corso, tanto per non far dimenticare agli studenti che il Professore era lui.
Perché il camice? Mi chiedevo.
Beh, in facoltà lo usavano in molti, ma quasi tutti facevano ricerca in laboratorio.
Da noi, l’unico a frequentare una specie di laboratorio ero io. Era la sala dove avevo sistemato i computer e le stampanti che impiegavo per la cartografia digitale; lì non c’era proprio il rischio di sporcarsi, o di sciupare gli abiti.
Ero dunque convinto che il Professore si mettesse il camice per distinguersi da tutti gli altri docenti dell’istituto. Ho anche pensato che volesse far ricordare che in passato i professori delle discipline naturali erano laureati in medicina: il camice era dunque un testimone che veniva dal passato. Un simbolo. Un segno di distinzione. Ma quanti lo capivano?
A dire il vero, io il camice lo indossavo volentieri. Come assistente avevo il compito di portare in aula l’apparecchio preferito dal Professore, quello che gli serviva a proiettare sullo schermo le immagini dei libri.
Era un epidiascopio.
Un aggeggio che pesava almeno dieci chili. Spigoloso, e sempre impolverato.
Il camice mi serviva ad evitare di sporcarmi la maglietta e i jeans con la polvere che ricopriva quella macchina assurda! Anche la polvere era un segno della storia.
Si, proprio epidiascopio; quello era il nome della macchina.
E solo il nome la rendeva interessante. Il resto era ferraglia di ben poca utilità.
Un po’ come il camice.
Però così, con quel nome, portava la mente alla Grecia … alla storia, alla filosofia …insomma, un tocco di cultura non guasta mai …
Forse lo usava anche Carneade … ricordate chi era costui?
Franco
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