Mistrà
Caspita! In Grecia si mangia proprio bene!
Mi ero lasciato suggestionare da qualcuno che aveva appioppato ai Greci il nomignolo di “tagliafeta”. In quella parola coglievo un ché di spregiativo, come dire che più che tagliare il formaggio a fettine, in cucina, i greci non sanno fare.
Mi son dovuto ricredere. Anche sul formaggio, la Feta. È squisita; a ricordarla, ancora oggi, dopo tre mesi dall’ultima fettina, mi torna l’acquolina in bocca. Poi, di Feta ce n’è di tantissime varietà, caprine o vaccine, più o meno stagionate, più o meno saporite, ma tutte decisamente gustose. Ho scoperto che in Grecia vengono commercializzate anche in latte di metallo, come la carne in scatola, o la mortadella bolognese; latte da cinque o dieci chili, un sogno, ma anche una disperazione … ci vogliono mesi per finirne una, e si corre il rischio d’essere inghiottiti dal gorgo della nausea e dell’assuefazione.
A tavola, assieme alla Feta, i Greci offrono anche l’Ouzo, servito con acqua gelata e ghiaccio. L’ho provato, e ne sono rimasto affascinato. Ha l’aroma dell’anice, ma è secco come whisky. Veramente buono! Un bicchiere tira l’altro e si corre il rischio d’inebriarsi.
Tornato a casa, ho cercato l’Ouzo per negozi e bottiglierie; la marca di quello che mi offrivano Georgios e Terpsithea, i miei consuoceri, non l’ho trovata. Secondo Giorgio, il suo è l’Ouzo migliore. Viene distillato ad un tiro di schioppo da casa sua; ho così scoperto che ogni città, o paese grosso a sufficienza, ha una propria distilleria di Ouzo. Insomma, in Grecia succede quello che capita col vino qua da noi: ogni cantone della nostra terra ha il suo vino particolare e speciale, e la gente si affeziona al proprio, che ha il sapore di casa!
Mia mamma non beveva superalcolici, ma in cucina, nell’impasto dei dolci, spesso versava un po’ di liquore, che chiamava con nomi diversi. Mi si è acceso un ricordo: la voce della mamma che pronuncia la parola Anisette: la finezza del francese per dire distillato di anice, o col profumo dell’anice. Non ricordo se in casa ci fosse una bottiglia di Anisette da offrire agli ospiti durante o dopo il pasto; l’anice è un ottimo digestivo. Ma ricordo che altre volte la mamma usava un’altra parola: Mistrà. Ho cercato, e ho scoperto che Mistrà è il nome di una cittadina greca conquistata dai Veneziani, che lì bevvero l’Ouzo e lo chiamarono col nome di quel luogo, appunto Mistrà. Se ne innamorarono, e qualche intraprendente commerciante della laguna si mise a produrre per proprio conto quel liquore profumato, forte e secchissimo, che subito incontrò il favore della gente, per terra e per mare, in tutti i domini della Serenissima.
Il Mistrà divenne anche il distillato ufficiale della Marina di San Marco, quello che veniva quotidianamente distribuito ai marinai, da mescolare con l’acqua per disinfettarla e per renderla bevibile.
Fu un successo! Al pari del Cognac per i marinai francesi e del Rum per quelli Britannici.
Come la mia mamma, nemmeno io bevo superalcolici, ma ho fatto un giro al supermercato, ed ora in casa, accanto alla bottiglia di Ouzo che ho portato dalla Grecia, ne ho una di Mistrà.
La guardo, e quasi mi commuovo. Sento l’eco della voce della mamma, e ricordo il profumo e il sapore dei suoi dolci. Avverto anche un soffio di storia, che mi porta agli antichi battelli veneziani, in alto mare, ma anche tra i campi del Veneto di allora: vino od anice, in fin dei conti, si consumavano a tavola, forse con la polenta.
Franco
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