Pomagagnon
Ho trovato per caso questa foto. Non so come sia finita nel mio computer. Però mi ha ricordato una avventura di tanti anni fa, forse sessanta.
Non posso verificare. Dario, il mio compagno di quell’avventura e di cento altre pazze camminate in montagna, non c’è più.
Con lui ho passato due splendide estati, a Cortina.
Per dormire c’era una stanza nella casa di conoscenti degli zii. Per mangiare ci si arrangiava; non era un problema, se non quello legato a quanto ci restava dei quattrini che avevamo a disposizione. Per ogni altra cosa non ci mancava la fantasia, e nemmeno l’iniziativa.
In quanto alle passeggiate e alle esplorazioni, bastavano gli stimoli che ci davano sia Silvio, il nostro coetaneo, figlio di chi ci ospitava, sia da sua mamma, che desiderava farci capire la differenza che c’è tra un montanaro e un “cittadino”.
Quella volta ci trovammo alle prese col Pomagagnon, e con la sua Terza cengia. Uno scherzo, se non fosse che per risparmiare sui quattrini si arrivò alla base della montagna rinunciando all’autobus, che costava quanto un panino! Come dire: eravamo stanchi ancora prima di cominciare.
Il ghiaione lo salimmo sotto il sole. E poi via, sulle rocce, portando gli zaini e anche un tiro di corda che la mamma di Silvio ci aveva prestato. Non si sa mai, aveva borbottato.
Quelle parole non ci preoccuparono fino a quando non capimmo cosa fosse la Terza cengia. Pensammo anche di tornare indietro, ma il cammino già superato, visto dall’alto, ci mise paura. Meglio salire, e senza guardarci alle spalle.
La corda ci tornò utile solo alla fine della cengia, se la fine era davvero quel salto di una dozzina di metri in mezzo ai baranci. Ci riuscimmo, non so come, ma arrivammo giù vivi, e contenti. Solo allora si pranzò coi panini; avremmo voluto anche brindare, ma in bottega non avevamo pensato allo champagne!
La gita, però, lo avrebbe meritato. Vero Dario?
Dio mio, quante cose avremmo ancora da ricordare insieme!
Franco
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