Tascapane


Il Professore lo chiamava tascapane. 

Anche il mio papà, qualche volta, dava questo nome allo zaino. Oppure sacco, altre volte prosacco.

Forse era ricordo di tempi in cui si marciava portando il cibo a spalla. 

Anch’io anch’io avevo sistemato in un sacco a spalla quanto serviva a sfamarmi quando cominciai a far ricerca in mezzo al nulla: intorno a me solo alberi immensi, e pietre, nel cuore del Supramonte di Orgosolo, in Sardegna.

Ma non ero davvero solo.

Stavo montando gli strumenti. Un grugnito mi fece voltare, giusto in tempo per vedere due grossi maiali scuri e pelosi accanirsi contro il mio tascapane. Mi misi a gridare agitando le braccia. I due mi guardarono, e corsero via tenendo il tascapane in bocca, non sulle spalle. 

Quel giorno saltai colazione, pranzo e merenda.

Il giorno dopo appesi la borsa con le vivande in alto, sul ramo di un leccio. Quando tornai per il pranzo, la borsa era stata lacerata, e delle vivande non c’era più traccia. 

Restavano solo le lattine del tonno, aperte a colpi di zanna e ripulite a dovere. 

Mi dissero che i cinghiali saltano molto in alto.

Mi venne in mente la Gemma, che era solita ripetere una sua cantilena: l’amore fa far salti … ma la fame ancor più alti …

Dio mio, valeva anche per i cinghiali!


Franco 


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