Armonica


Arrivava fino allo slargo del marciapiede, all’inizio del ponte. Appoggiava la stampella all’angolo tra la casa e il parapetto, lasciava cadere per terra il berretto e si metteva a suonare la fisarmonica, le spalle appoggiate al muro. 

Aveva una gamba sola. L’altra l’aveva lasciata sul campo, forse in Russia, durante la ritirata; forse in Egitto, o in Libia, combattendo contro gli Inglesi. Colpa di una scheggia di granata, o di una schioppettata, e nessuno aveva potuto aiutarlo, lì in combattimento. 

L’aveva salvato l’amputazione.

Era dunque tornato a casa; vivo, ma senza lavoro. E noi bambini di pochi anni eravamo lì a guardarlo senza capire il dramma che gli stringeva il cuore e gli consumava la vita.


Ogni volta che vedo qualcuno con la fisarmonica tra le mani non posso non pensare a quel ragazzo all’angolo del ponte degli Angeli. 

Ora ci sono altri uomini che vengono da lontano con la speranza di trovare una nuova vita qua da noi. 

Suonano nelle Piazze, o davanti all’Università, sul marciapiede d’una delle vie buone di Padova. 

Ora non si fermano a guardare neanche i bambini. 

Qualcuno, distratto, lascia una moneta nel berretto posato per terra. 

Un soldo non può sanare la loro ferita, che stavolta è nell’anima, non nel corpo. 

Il mondo è ancora tutto sbagliato. Settant’anni non sono serviti a granché.


Franco











 



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