Conchiglia
Una noia terribile.
Pochi ci crederebbero, ma, a lungo andare, fare ricerca in pieno campo tra i monti della Sardegna mi annoiava a morte.
Lì andavo a studiare un nuovo impianto d’un pino americano che molti favoleggiavano essere un gran produttore di legname.
Arrivavo prestissimo, di mattina, prima dell’alba; guidavo un furgone attrezzato con una montagna di strumenti, rari e preziosi. Montavo e collaudavo tutta l’attrezzatura e accendevo il piccolo gruppo elettrogeno. Poi, ogni ora e per quindici minuti di seguito, avevo solo da rilevare e registrare una lunga serie di dati.
Il problema era restare sveglio, ed attento, anche se si era a metà luglio, sotto il sole, quando la calura e la sete rendono torpidi i movimenti e spengono la mente.
Leggevo. Leggevo moltissimo, inseguendo qualche chiazza d’ombra proiettata dai pochi pini alti a sufficienza per darmi un po’ di ristoro. C’erano anche i corbezzoli, sempre carichi di frutti rosso carminio, come la mia pelle bruciata dal solleone. Macchiavano! Un disastro per jeans e magliette.
Ho poi sempre diffidato dei fichi d’india, anche se molti raggiungevano dimensioni ragguardevoli … come le loro spine.
A mezzogiorno anche la lettura si faceva difficile. L’attenzione evaporava …
Era il momento del panino, da spartire coi ramarri che avevano capito che, mostrandosi, ricevevano qualche briciola, o anche di più. Ma era solo un attimo di compagnia.
Poi ho scoperto le pietre.
Erano state spaccate a colpi di vomere quando avevano dissodato l’intera montagna per provvedere al nuovo impianto di pini.
Era stato così messo a nudo un segreto.
Affascinante.
Uno tesoro di conchiglie fossili! Una la conservo ancora.
Non che fossero chissà quale rarità, ma in quell’aria torrida e nella totale solitudine, anche il gusto di una misera scoperta era capace di riempire l’anima, e la giornata.
Zanella ci ha pure scritto una poesia: Sopra una conchiglia fossile!
Franco
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