Falive
Amavo la neve.
La desideravo per il senso di pulizia che dava anche al paesaggio della città, per il silenzio che calava assieme ai fiocchi, per l’aria pulita che si respirava.
Ne spiavo l’arrivo anche quando studiavo: cercavo le tracce dei primi fiocchi traguardando il muro delle case di là della strada, oltre il filare di ippocastani che circondava la casa. Che la neve stesse arrivando me lo suggeriva il Bondone, che si mascherava dietro una nebbiolina candida, la nuvola di neve che scendeva dalla cima appuntita del monte fino al piano di Sardagna, dove arrivava la funivia. Quando la nuvola bianca scendeva più giù, a mascherare la scogliera di dolomia che precipitava fino al fiume, significava che sarebbe nevicato anche in città.
Seduti sui banchi, anche se il professore spiegava la sua lezione, quando prendeva a nevicare tutti si giravano verso le finestre. A volte anche il professore smetteva di spiegare, ed esclamava: guarda come viene … oppure in dialetto … come fioca!
Se cominciava a nevicare quando il buio era già calato, andavo a salutare la mamma e la Gemma in cucina. Le tapparelle erano già state abbassate, ma io riaprivo qualche spazio tra le stecche, quel che bastava a spiare il lampione sull’altro lato della strada: ottimo sistema, perché la luce metteva in evidenza anche i primi rari fiocchi, rendendoli lucenti come schegge di diamante.
Dopo cena salutavo i miei, seduti davanti alla TV. Vado a fare quattro passi, era la mia giustificazione. Adoravo quella passeggiata, da solo, nel buio, senza ombrello, con la giacca a vento che sì imbiancava, come la cuffia di lana ben calata sulla testa. Con le mani infilate nei guanti e tenute in tasca, sceglievo le strade meno illuminate e trafficate, in modo da essere il primo a lasciare la mia traccia sulla neve.
Un sogno! Sentivo lo scricchiolio dei miei passi e mi pareva d’avvertire anche il rumore delle falive, così le chiamavano a Trento, che s’appoggiavano a terra.
Un sogno che mi portavo fin nel letto, nel dormiveglia: nuvole di neve che mi avvolgevano, che mi stringevano.
E così sprofondavo felice nel sonno.
Franco
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