La Nina


Era una povera donna, ormai avanti negli anni. Ne dimostrava più di quanti ne avesse, col viso segnato dal pianto per le disgrazie patite e la disperazione che le rodeva il cuore. Una vita da sola, consumata in un minuscolo appartamento malmesso ricavato dal sottotetto del palazzo di casa nostra. 

Andavo spesso da lei, per farle compagnia. Mi raccontava storie strane, di tempi così lontani che mi pareva cominciassero tutte con “C’era una volta, tanto, ma tanto tempo fa …”. 

Era la sua vita, che la mia mamma conosceva bene. 

Era bellissima, mi diceva, e ricca. Frequentava la buona società, qui in città, sempre con grandi signori che volevano mostrarsi con lei a teatro, o al ristorante, o a qualche ballo … Ma lei s’è innamorata della persona sbagliata, che le ha mangiato il patrimonio col gioco, e che l’ha anche trattata molto male. Avevo capito che male significava che quel signore aveva tradito la Nina con altre donne, un peccato che ci era stato spiegato dal prete al catechismo. Certo che di patrimonio la Nina non doveva averne proprio più, se veniva a casa nostra, la sera, a mangiarsi un piatto di minestra, a scaldarsi vicino alla stufa e a recitare il rosario con la nonna. Poi se ne tornava a casa sua con due bottiglie di metallo, forse di rame, piene d’acqua calda. Mi tengono caldo il letto, diceva, mi fanno compagnia.


Un giorno, rovistando in uno stipo, ha recuperato un binocolo da teatro. Mi guardavano sempre con questi cannocchiali, mi diceva … erano bei tempi. A me non serve più, continuò, te lo regalo.

Povera Nina. Ci penso spesso. 

È rimasta, per me, il simbolo della solitudine. 

Guardo il suo dono, e penso al tempo che passa e ci ruba la vita, sostituendola con ricordi, sempre più sfumati, sempre più sfocati. 

Per vederli non serve un binocolo. 

Aveva proprio ragione, la Nina.


Franco






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