Rossignol
Lorenzo Maria era antipatico a tutti gli studenti della Casa.
Oddio, era gentile, salutava i suoi compagni, si prestava anche a qualche partita di carte dopo cena, o, dopo pranzo, a qualche tiro di pallone sul campo di pallacanestro.
Però, sopra ogni altra considerazione, sui compagni pesavano l’Alfetta coupé che parcheggiava nel garage del meccanico di fronte all’ingresso della Casa, il suo accento milanese e la voce un po’ strascicata che dava l’impressione che volesse distinguersi da quei poveracci che alloggiavano alla “Negri”.
Durò poco. Non perché mai provò a cambiare atteggiamento, ma perché tutta la Casa s’impegnò nel rendere cattivi i tiri che cli furono “regalati” a più riprese.
Alcuni scherzi erano veramente cretini, e di cattivo gusto. Una sera era tornato da Milano con gli sci: come dire, nel prossimo fine settimana vado a sciare a Cortina. Venuto da lezione, nella sua stanza non trovò i Rossignol, i primi sci in lega metallica, belli e costosissimi. Urlò come un pazzo, fino a tossire in maniera tanto preoccupante che un compagno del quinto anno di medicina tentò di calmare le convulsioni applicandogli strane manovre. Alla fine Lorenzo Maria li trovò infilati nei cessi alla turca del piano superiore della Casa.
Passò un’ora nella doccia, dove li lavò con lo shampoo e li profumò col dopo barba.
Però nemmeno allora cambiò atteggiamento. Fu così preparato un altro scherzo terribile.
Venne invitato a giocare a carte. Vinceva in maniera brillante, e ad ogni vincita, che tutti dicevano frutto di una sua geniale strategia di gioco, tutta la Casa brindava all’impresa. In verità, lui brindava, gli altri fingevano. Dal vino si passò alla grappa; poi lui ci mise anche dell’ottimo Chivas Regal, che è il meglio, mica questa roba qua … Vinse e bevve fino a crollare, ubriaco.
Lo trascinarono a dormire nella sua stanza. Continuò a dormire come un sasso, e non si accorse di nulla. Gli smontarono, infatti, l’armadio e lo rimontarono sopra il letto. Rimase lì, chiuso come in una bara.
Questo dovette pensare il povero Lorenzo Maria l’indomani, svegliandosi preda di un feroce mal di testa, al buio e incapace di muoversi, di alzare le braccia e di buttare i piedi fuori dal letto.
Urlò, urlò come un disperato, finché non arrivò il custode ad aprire la porta dell’armadio, che era stata chiusa a chiave.
Lorenzo Maria decise di andarsene dalla Casa.
Siete dei polli, gridò ai suoi compagni, uscendo dall’edificio.
La differenza tra lui e tutti noi polli la mostrava con gli sci: lo stemma della Rossignol, una bandiera, uno stendardo che teneva in alto, con orgoglio. Lorenzo Maria era un galletto, uno splendido gallo impettito, e per di più in Alfetta.
Che invidia!
Franco
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