Sanguigne


Avevo tre anni, e tanti ricordi di allora sono sbiaditi, o perduti per sempre.

Non tutti, però: certe cose di quel tempo le tengo ancora con me.

Ad esempio, ho davanti agli occhi mio cugino Beppe che, con martello e scalpello da muratore, scolpisce blocchi di pietra recuperati dalla vecchia priara, la cava che si apriva nel monte vicino alla casa dei nonni. 

Voleva dare a quei blocchi, con colpi delicati, la forma del viso dei miei fratelli. 

Non ricordo quanti giorni ci sia stato a completare l’impresa, ma ricordo che tutti restavano a bocca aperta nel vedere la pietra assumere a poco a poco l’aspetto di Enzo e di Nando. 

Ne ero stupito anch’io, che pure capivo quasi nulla del prodigio che stava avvenendo.


Ho invece solo un esile ricordo del nonno seduto sotto la nogara, in corte. Si prestava ad un ritratto. Davanti a lui c’era Beppe, con in mano una sottile tavoletta di legno e la carta fissata con le mollette, quelle che la Gemma usava per stendere la biancheria. 

Poi fu il turno della nonna.


Sento ancora la voce di Beppe, nell’ultima telefonata che mi fece. 

Ho ottantacinque anni, mi disse, e mi sei tornato in mente. Eri bambino … 

Non credo che potesse ricordare quel soldo di cacio che ero in quell’anno ’49. 

Ma mi sono messo a cercare tra le carte e i ricordi di famiglia una traccia del suo lavoro. 

Ho trovato alcune foto scattate a casa di Nando. 

Dopo più di settant’anni mi commuovono quegli schizzi dei nonni, che rivivono, anche nel tratto a sanguigna, così come li ricordavo da bimbo: vecchi, teneri, dolcissimi.

Grazie Beppe!


Franco





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