Ugo


Non mi ha mai fatto pesare il fatto che io non ero un montanaro. Potevo fare il professore, parlare di Ecologia, anche alla sua gente, e magari potevo proporre un piano per conservare il suo territorio … ma solo lui sapeva veramente cos’era la montagna, e come la si dovesse avvicinare per confrontarsi con lei. Non solo le rocce, che lui dominava, ma anche i boschi, e i pascoli, che conosceva per averli vissuti, e per aver ascoltato e fatti propri i racconti e le esperienze dei suoi avi. 

Insomma, frequentandolo ho compreso che il suo sapere non poteva essere paragonato col il mio: il peso dell’esperienza contro quello dei libri e di qualche applicazione … due mondi diversi, da fondere insieme! 

Per questo lo ascoltavo volentieri, studiando attentamente le sue parole. Si è lavorato a lungo insieme, mirando, lui ed io, agli stessi obiettivi: mantenere splendido ed efficiente il territorio d’Ampezzo, quello delle Regole e del Parco. 


Mi portò un giorno al suo rifugio, in alto, sul Lagazuoi. Mi ci condusse a piedi, perché la montagna, diceva, si conosce solo se la si tocca con le mani, e con gli scarponi. 

Ormai non c’erano più turisti, in quei giorni in cui si spegneva l’estate. 

Si era soli, sulla terrazza del rifugio, nel sole e nel silenzio. Ci si capiva con lo sguardo, e coi gesti. Ogni tanto mi additava una nuvola, un picco o una guglia che svettava in una luce particolare, un colore di cielo che mai avrei potuto vedere  in altri luoghi.

Mi raccontò di un ermellino, al quale concedeva il furto di certe uova che portava apposta lassù, al rifugio, fin da Cortina. Se ne vien fuori da una breccia nel muro della dispensa, rotolando col muso appuntito il suo tesoro. Mi guarda, sull'orlo della terrazza e con calma, quasi avesse avuto il permesso, fora il guscio per lappare, goccia a goccia, il contenuto dell’uovo. Sperai fin quasi a sera che la scena si ripetesse. Ugo lo capì, e fece una delle sue battute: sei professore con toga e stola di ermellino … che vuoi … teme per la sua pelliccia!

Si restò così. Poche parole per le sue storie di boschi, di animali, di crode, di corde e di gelo. Io con la voglia di ascoltare, e di vivere in quel modo le emozioni che vivono i montanari.


Ugo se ne è andato. L’ho saputo oggi da un amico, che sapeva di darmi un profondo dolore. Ho rivissuto in un attimo tutti i nostri incontri, lassù, a casa sua, ma anche qua, a Padova e a Venezia, città che sicuramente sentiva estranee, come tutta la pianura. Ne ho risentita la voce, anzi, la musica delle sue parole, specie di quelle che si divertiva a pronunciare nella sua lingua, il ladino ampezzano, che rende quella terra ancor più speciale. 


Franco 







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