Calore
Sta tornando di moda! Molti hanno riscoperto la legna e i suoi derivati, come i tronchetti pressati e i pellet. E qualcuno accenderà la stufa per intiepidire la casa, facendo un bel salto nel passato … sessanta o settanta anni almeno.
Mi ricordo bene gli inverni con il fuoco di legna.
La casa in cui sono cresciuto era scaldata, si fa per dire, con la legna. C’era una grande stufa in sala da pranzo; un’altra troneggiava nella camera del papà e della mamma, una in corridoio lungo il quale si aprivano le stanze da letto di noi ragazzi. Poi c’era il fornello a legna in cucina e lo scalda acqua in bagno: un cilindro altissimo di ottone che conteneva una serpentina di rame che veniva lambita dalla fiamma.
Il ricordo delle stufe non è però memoria di tepore in casa, ma, al contrario, di freddo.
L’inverno era sinonimo di freddo, ma ci si conviveva senza troppi problemi.
Io dovevo indossare le braghe lunghe di lana, un po’ grezza, che pungeva ed infastidiva. Pungevano anche le magliette della salute, che arrivavano al collo e avevano le maniche lunghe fino ai polsi. La mamma le cercava fatte con le lane migliori, quelle più fini, più delicate; ma in quegli anni, subito dopo la guerra, era già difficile trovare lana buona, e non si guardava troppo per il sottile sulla sua finezza.
I compiti per casa li dovevo fare in cucina, che era la stanza più calda. Lì stavano a lavorare le donne; la nonna era sempre seduta accanto alla cucina economica, e spesso teneva le mani tese sulla piastra.
Ogni tanto mi mandavano a prendere la legna nel sottoscala dove era stata accumulata a seccare. Era legna dei boschi dei nonni, sul monte. Non faceva a tempo a stagionare, e i ciocchi messi nella stufa fumavano e gemevano il loro umore che evaporava coprendo di bolle la superficie del taglio. Nelle altre stufe si buttavano anche ovuli di carbon koke; puzzavano un pò, ma scaldavano tantissimo, e la brace durava dalla sera fino al mattino.
Ricordo che anche il papà si difendeva dal freddo indossando mutandoni di lana: evidentemente la sua scuola non aveva un riscaldamento efficiente. Ma nemmeno il suo studio di casa era riscaldato, e dunque era davvero necessario coprirsi d’abiti pesanti.
Ricordo che alcune case avevano il termosifone; ad esempio quella di Paolo, un mio compagno di classe il cui papà faceva il pediatra. Il suo studio era sempre piacevolmente caldo, e lì mi spogliavo senza rabbrividire. L’appartamento di Paolo godeva dello stesso calore: ricordo che nelle stanze c’erano enormi radiatori di ghisa, che erano più alti di me. Un giorno, pieno di orgoglio, mi volle far vedere la caldaia, in cantina, e la montagna di carbone con cui veniva alimentata. Non erano uova di koke, ma grossi pezzi lucidi di antracite, il carbone migliore. Quel nome mi è rimasto impresso in memoria.
Lo stesso carbone alimentava le stufe nelle aule delle scuole elementari; ogni tanto passava il bidello con una secchia piena di antracite, e ne buttava nel fornello qualche grosso pezzo. Nessuno si è mai lamentato per il freddo.
Qualche anno più tardi, entrando in aula il primo giorno di scuola, trovammo la novità: c’erano i termosifoni!
Erano segno di benessere e di modernità, e tutti ne furono felici.
Franco
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