Forcola
È un’arte davvero millenaria.
Chi affitta per pochi minuti una barchetta, al lago o al mare, sistema i remi sugli scalmi di ferro, si siede sul banco, schiena opposta alla direzione di marcia, e tira i remi verso il petto.
Ogni tanto controlla la sua direzione, a meno che non ci sia qualcun altro a guidarlo.
In laguna non si fa così. Lì, dove le insidie sono ovunque e bisogna essere prontissimi e millimetrici per evitarle, si rema alla veneziana.
In piedi, viso alla prua, il remo sistemato su di una forcola che di scalmi ne offre più d’uno.
In laguna il remo può assumere fino ad otto posizioni di spinta; le forcole più elaborate le consentono tutte.
Non tutti i legni vanno bene per scolpire una forcola. Alla fine ne sono restati solo tre: il noce, il pero e il ciliegio. Duri abbastanza per resistere allo sforzo, resistenti all’umidità e all’aria salsa della laguna. In più, sono i legni che meno consumano i remi con l’attrito.
Difficile, oggi, trovare fusti grossi a sufficienza per ricavare da un unico pezzo di legno forcole delle dimensioni giuste per le gondole e le altre imbarcazioni lagunari. La tecnologia aiuta: con le colle moderne si riesce a scolpire forcole anche a partire da più tavole tra loro saldate, studiando la venatura e, dunque, gli sforzi che il legno può sostenere. Un’arte raffinata anche questa.
Oggi che le gondole sono diventate una attrazione turistica, anche le forcole si sono trasformate in veri oggetti d’arte, come quello che gelosamente conservo in casa, uno spettacolo di colore, di venature, di storia.
Come le forcole vere, attrezzi studiati e perfezionati per centinaia e centinaia di anni.
Un’arte che, però, si sta spegnendo.
Lentamente, come Venezia.
Franco
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