Fregi
Della casa di Vicenza, due stanze mi affascinavano: quella da letto della Gemma e la cosiddetta stanza dell’ECA.
Credo che alla Gemma fosse stato dato quello che, originariamente, era un cucinino di servizio della sala da pranzo di casa: c’erano dentro, infatti, un caminetto e un acquaio di marmo, come quelli usati per lavare i piatti. “Dà l’acqua più fresca della casa”, diceva la Gemma, che infatti andava in camera sua a riempire le caraffe da mettere in tavola per pranzo e cena.
Il camino, invece, era stato chiuso con sportelli di legno e in più, d’inverno, la Gemma ci stendeva davanti, appesa su uno spago, una grossa coperta militare di lana.
L’altra stanza era stata formalmente donata all’ente di beneficienza istituito dal Fascismo, l’ECA, cui mensilmente i miei pagavano un affitto così che non sembrasse l’elargizione di un obolo caritatevole a favore delle famiglie indigenti. Un meccanismo un po’ contorto, ma … a me non interessava proprio nulla.
La stanza mi piaceva perché era isolata dalla casa e ci potevo giocare senza essere sempre tenuto sott’occhio. Per andarci si doveva uscire dalla camera della Gemma, attraversare la cosiddetta loggetta ed aprirne la pesantissima porta con una grossa chiave d’altri tempi. Il locale era straripante di cianfrusaglie, e conservava il sentore della frutta che vi veniva sistemata a maturare, come i cachi, le pere e le mele dell’orto, ma anche quelle che venivano portate in città dal monte, raccolte nei campi dei nonni. Dalle due finestre di quella stanza potevo vedere il cortile delle case addossate alla nostra. Vi giocavano anche alcuni bambini della mia età, che non conoscevo, e un poco invidiavo perché formavano un bel gruppo, mentre io, i compagni di gioco, me li dovevo trovare tra quelli di scuola.
C’era un particolare che mi affascinava in quelle due stanze, ed anche nella loggetta: i fregi scolpiti nella pietra degli stipiti delle finestre e dei davanzali. Un lavoro finissimo, fatto chissà quando, ma che odorava d’antico.
“Sono del duecento”, si azzardò a dire mio fratello che stava studiando storia dell’arte al liceo e che s’era messo a disegnare quei fregi, a matita, su di un grande foglio di carta.
Per vederli meglio, salii subito sul davanzale della finestra della stanza della Gemma. Le donne di casa mi videro dalle finestre della cucina, e si misero a gridare. Arrivarono di corsa le mie sorelle a trattenermi. Il papà, per niente preoccupato, trovò anche il tempo per scattarci una foto.
Che adoro!
Franco
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