Ghiaccio


Un tempo la ghiacciaia era un locale sotterraneo in cui, durante l’inverno, venivano accumulati la neve e il ghiaccio, ben pressati e coperti di paglia, in modo che si potessero conservare a lungo, magari da un inverno all’altro. I signori che vivevano in campagna spesso costruivano una ghiacciaia di questo tipo, per conservare il cibo deperibile, la carne, il pesce, la frutta o anche le bevande da servire ben fredde, in estate. 


In città non era possibile scavare ghiacciaie sotterranee. Il ghiaccio però veniva venduto di casa in casa. Ricordo che il venditore di ghiaccio, che da noi chiamavano el giasarolo, girava per il quartiere con un carretto a pedali, una specie di triciclo col cassone messo davanti. 

Il carretto era foderato di lamiera ed era protetto con vecchie coperte militari di lana. Il ghiaccio era in barre lunghe circa un metro e di una spanna di spessore; dovevano pesare parecchio. El giasarolo  le spostava usando robusti uncini di ferro. Il venditore si fermava davanti a tutti i negozi della strada, cui consegnava pezzi di ghiaccio tagliati a colpi di accetta.

Il fruttivendolo che teneva bottega sotto casa mia, ne comperava sempre tre o quattro grossi pezzi, che sistemava in uno stanzino dove conservava la frutta e la verdura da un giorno all’altro. Anche quello stanzino era chiamato la ghiacciaia, come quelle scavate sotto terra nelle ville patrizie sui colli. 

Una ghiacciaia c’era anche nella bottega del pizzicagnolo, che vi conservava le forme di formaggio e i salumi. 

A casa nostra, e in molte altre case, la ghiacciaia era invece una cassa di legno e lamiera dove, sistemandoli vicino al ghiaccio, la mamma conservava la carne e il burro e, qualche volta, anche il pesce.

Ogni tanto comperava ghiaccio anche il mio papà: lo grattugiava usando una specie di pialla per farne splendide granite che insaporiva col limone o con la spremuta di frutta.


Poi arrivarono i frigoriferi, e subito scomparve el giasarolo, che non ebbe più alcuna opportunità di lavoro. Il freddo ormai lo si faceva in casa, comodamente e a poco prezzo. 

Mi spiacque tantissimo: non potei più gustare le granite del papà. 

Però, a pochi passi da casa, si fermava il carretto del gelataio; era dipinto di bianco e d’azzurro,  con le ruote abbellite da fregi rossi e dorati. Sembrava la prua di una barca, con un ferro simile a quello delle gondole di Venezia. Erano gelati squisiti, ma di pochi gusti soltanto, perché nel carretto lo spazio andava diviso tra il ghiaccio e il gelato. 

D’inverno, al posto del gelato si correva a comperare la panna montata e zuccherata. 

Che delizia … a pensarci ancora oggi mi viene l’acquolina in bocca!


Franco




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