Impressioni


Guardando dal finestrino, dalla mia una parte vedo un mare di nuvole candide come fiocchi di cotone che copre la pianura. Siamo nel sole, a diecimila metri d’altitudine. Chi sta sotto le nuvole è già al buio, quello dei pomeriggi veneti dell’inverno. I miei vicini di casa staranno pensando che le giornate si sono fatte proprio corte, cupe, e uggiose. 

I finestrini dall’altra parte della carlinga si aprono sul bianco delle Dolomiti cariche di neve. Dovrei conoscerli bene, ma da quassù non riesco a distinguere i gruppi di montagne, nemmeno quelli più noti e spettacolari … sono troppo lontani, e il finestrino, troppo piccolo, mi impedisce di abbracciare il panorama così come vorrei. 

Voliamo verso Parigi; abbiamo da recuperare un po’ di ritardo, ma non ci sono problemi per la coincidenza. Me lo ha assicurato una gentilissima signora in divisa Airfrance. Le voglio credere per sentirmi tranquillo.


Domani è il giorno più corto dell’anno, sento affermare dietro di me, eppure guarda che luce … sta cambiando proprio tutto.

Vorrei rispondere, ma mi trattengo. Il giorno più corto, o meglio, la notte più lunga, sarà quella tra il ventuno e  il ventidue, e il fatto che quassù, più in alto dell’Everest, brilli il sole non significa proprio nulla col solstizio. Risponde invece una donna, in veneto. Ma no, il più corto è il giorno di Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia … lo dice anche il proverbio. 

Mi cascano le braccia, ma sorrido: lo diceva anche la Gemma. Lei il calendario lo conosceva a memoria, con la fila dei santi, di cui sapeva vita, morte i miracoli, almeno quelli dei santi che comparivano sulle pagine del Frate Indovino, che per lei era il vero calendario, forse più del Barbanera, che a casa sua, in campagna, veniva appeso al muro della cucina e da lì regolava la vita di tutta la famiglia. La Gemma però non sapeva nulla della astronomia che regola le stagioni, e i calendari; ancora meno sapeva del cambiamento imposto da papa Gregorio al calendario giuliano, quello voluto da Giulio Cesare cinquanta anni prima di Cristo. Gregorio, per aggiustare un errore nel calcolo della posizione della Terra rispetto al Sole, fece un salto indietro di molti giorni. Così a dicembre si passò dal 23 al 13; il proverbio che tirava in ballo Santa Lucia, si riferiva al giorno del solstizio d’inverno che, grazie a papa Gregorio, venne degradato a giorno qualunque, a vantaggio del giorno dedicato ad un altro santo, Giovanni Evangelista.

Eppure in molte parti del mondo si continua a fare festa il 13 dicembre, il giorno di Santa Lucia. Qualcuno fa festa anche una settimana prima, il 6 dicembre, che è il giorno dedicato a San Nicola. Santa Claus, cioè Babbo Natale, in alcuni paesi si festeggia il 6, in altri il 13, al posto di Lucia. 

Insomma, c’è molta confusione. 

Val la pena di ricordare che, già prima dell’era cristiana, nel giorno del solstizio si faceva grande festa nei paesi del profondo Nord. Lì si raccontava ai bambini che durante la notte più lunga dell’anno, di casa in casa, di villaggio in villaggio, passava Odino montando un gran cavallo carico di doni. Per questo i bimbi lasciavano sulla soglia di casa del cibo per Odino e del fieno per il suo cavallo. 

Così, ancora oggi, si fa in campagna, in modo che Lucia, oppure Claus, che è Babbo Natale, non abbiano da soffrire la fame mentre si affaticano a girare per le case con bambini buoni in groppa al loro asinello, carico di doni, ai bimbi cattivi lascia carbone; al giorno d’oggi va bene lo stesso.


Franco



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