Viaggio


Pochi giorni ancora, poi volerò in Canada. 

Gli anni che ho sulle spalle mi regalano ansia a piene mani. Che stupido! È tutto organizzato in modo perfetto … tutti i documenti sono lì, allineati sul tavolo per poterli controllare ogni giorno. Abbiamo steso anche l’elenco degli abiti da portarci a Montreal: Amundsen era meno coperto di noi quando si avventurò in slitta sul pack. Abbiamo il biglietto, e dunque il posto è fissato in aereo. Eppure, eppure qualcosa potrebbe andare storto. Quanto ci si sta ad andare dal terminal 2F al terminal 2E? Abbiamo un’ora e mezza di tempo per passare dall’uno all’altro. Non riesco a capire se vi sia un servizio di navetta; l’aeroporto è immenso, a Parigi dove si fa scalo per salire sull’aereo che volerà sull’oceano. 

Ecco l’incubo. Non mi assale di giorno, ma di notte, quando nel buio si accendono le luci della mante, un po’ vecchia, un po’ sgangherata. 

Nella mia fantasia va tutto storto. Invece che a Parigi mi portano a Francoforte … cosa ci faccio a Francoforte? Qualcuno ride, nel sogno, e risponde “birra e würstel, oppure goulash, e birra ovviamente. Mi agito, e cambio scena. Perché l’ambulanza? A Montreal si va in aereo, non in ambulanza. Sono assopito, ho freddo, ma sento la sirena e avverto tutte le rotatorie sulle strade tra casa e l’ospedale. Dio mio, avevo dimenticato tutto … non voglio ricordare … ma i sogni non si controllano, e il viaggio continua, a tutta velocità, con la sirena spiegata ed io, mezzo nudo, che sbatto di qua e di là e prendo botte da ogni parte. 

Grazie a dio riesco a cambiare sogno, ma non veicolo. Ambulanza ancora, senza sirena, viaggio tranquillo, vestito di tutto punto e con un bel po’ di coperte addosso. Dio mio, alla lettiga mancano però almeno venti centimetri per accogliermi come si deve … tocco coi piedi e con la testa, e conto le curve numerando le botte che rimedio contro le sponde del lettino. Sono gentili con me, mi parlano, mi raccontano del loro impegno di volontariato, mi rimboccano le coperte e si scusano per la strada, che ora è tutta curve, ma vanno piano per non farmi star male. Ancora pochi minuti, e saremo al centro di riabilitazione, mi dicono. Spero sia la verità … mi pare che il viaggio stia durando da molte ore, forse mezza giornata.

Dio mio, mi ripeto, in aereo sarà così? Poco spazio? Le ginocchia che sbattono contro il sedile davanti? La schiena incastrata in un guscio disegnato per contenere gente tra 160 e 175 cm? Mi rimboccheranno le coperte? Farà freddo così? Sento una hostess che in tre lingue ripete che il volo durerà 18 ore, e che il vento è contrario, ci saranno vuoti d’aria e il comandante si scusa per il disagio. Tranquillo, mi dice la hostess, a terra troverai il sole e gli orsi bianchi, che il freddo lo vanno a cercare a Montreal, dove al nostro arrivo sono previsti - 32 gradi, ma con vento, così che a te sembreranno 50 sotto lo zero. Ride! La odio. 

Mi sveglio in un parossismo di idee confuse: concordano tutte su una sola cosa … peggio di così …  Meglio l’ambulanza. In definitiva ci sono stato bene, e una volta arrivato mi hanno rimesso in sesto. E ne ero felice.

Dai, starò da dio anche in Canada. Due nipotini che non vedo da troppo tempo mi riempiranno le giornate e il cuore di gioia … sempre che trovi una coincidenza per Montreal anche lì, a Francoforte, dove insistono per un’altra birra gelata. Ma sono pazzi? Sono trenta gradi sotto zero … non birra, grappa, grappa ci vuole!


Franco 






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