Disegni
Sono gelato! Questo strano, tiepido, inverno, sta infierendo con giorni di normalità, che io però avverto come gelo polare.
So che il vero freddo lo abbiamo provato anni fa. Sto passando in rassegna gli inverni in cui c’era motivo per battere i denti. Sono molti: uno, in particolare, ci ha elargito più di un mese con temperatura che qui, a Padova, mai è salita sopra lo zero. Ma ero giovane, allora, e sopportavo tutto, quasi senza farci caso. Se non ci fossero stati i bambini, per i quali ci si allarmava anche per una giornata di vento, non c’era differenza tra estate ed inverno: si stava bene comunque.
E quando ero piccolo? Non ricordo di aver mai avuto freddo nella grande casa di Vicenza. Eppure non poteva essere calda, d’inverno. Scaldarla era una battaglia perduta: non c’erano termosifoni, almeno fino ai primi anni ’50, i soffitti erano altissimi, più di quattro metri, le stufe scaldavano solo alcune stanze e le finestre … dio mio, facevano pena, coi legni imbarcati e coi vetri sottili sottili, incapaci di opporsi al gelo di fuori e al vento che soffiava per spingerlo dentro, contro di noi.
Si stava il più possibile in cucina, dove il fuoco era sempre acceso. A volte si scaldava in salotto, dove si mangiava e a volte studiava Pier Lorenzo coi suoi amici, e nella camera della mamma, che non stava bene. In bagno, col fuoco di legna si scaldava anche l’acqua per lavarci, accendendo la fiamma in uno strano boiler d’ottone e di rame che intiepidiva anche la stanza.
Dopo cena, la Gemma officiava un rito importantissimo: recuperava le braci dalla stufa del salotto e dalla cucina economica. Con quelle riempiva due piccoli bracieri che sistemava dentro gli scaldaletto, le moneghe, destinati ai letti delle mie sorelle. Un trattamento di favore per le ragazze, che indossavano camicie da notte pesanti, lunghe fino ai piedi. Si mettevano delle scarpine di lana, come fossero pesanti calzini, allacciati con fascette in modo da non perderli durante il sonno. Quando le moneghe avevano fatto il loro dovere, le ragazze si infilavano subito nel letto, al calduccio.
Qualche anno più tardi il papà rese quegli strumenti molto più efficaci: al posto del braciere comparvero le resistenze elettriche, messe a spirale intorno a grosse pigne di ceramica: un cambiamento tecnologico che fu seguito dall’impianto di riscaldamento con termosifoni in ogni stanza. Il calore anche in biblioteca, dove andarono a studiare i miei fratelli.
La nonna continuò a disegnare sul ghiaccio, incidendo, col ferro da calza, scaldato sulla piastra della cucina economica, gli splendidi arabeschi gelati che il vapore delle pentole creava sui vetri, rimasti ancora sottili.
Franco
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