Millecinquecento
È una lunga storia, da cui recupero solo l’essenziale.
Il professore di ginnastica del liceo Pigafetta aveva notato la mia perseveranza in campo, alla GIL, la palestra comunale usata dalla mia scuola, ed aveva cominciato ad allenarmi a dovere. Stavo diventando proprio bravo, diceva, così che anche il mio papà aveva accettato che per due pomeriggi a settimana, un paio d’ore alla volta, mi dedicassi alla corsa anziché al greco.
Il professore, che era diventato famoso in città perché era stato allenatore di Carlo Lievore, il primatista mondiale di lancio del giavellotto, registrava i miei tempi in pista: erano diventati i migliori del ginnasio, tra i migliori anche del liceo.
Mi fece provare la corsa campestre: millecinquecento metri, quasi la metà sullo sterrato, tra i pioppi che separavano la pista dall’argine del fiume. In quella specialità non avevo avversari e così venni iscritto al campionato della scuola.
Qualche settimana prima Pierlorenzo mi aveva accompagnato ad acquistare le scarpette coi chiodi. Con quelle migliorai di qualche altro secondo il mio tempo, ma il professore scuoteva le testa: queste scarpette sono una bugia, il tuo valore lo dimostri solo con le scarpe da ginnastica.
Durante la gara avrei potuto distanziare da subito tutti i miei compagni che gareggiavano nella campestre. Non lo feci per obbedire alla strategia stabilita dal professore: il mio scatto sarebbe avvenuto solo a metà dell’ultimo giro.
Accadde invece che nell’ultimo tratto fuori pista, a duecento metri dall’arrivo, misi il piede su di una radice di pioppo: la scarpetta rimase inchiodata al legno ed io corsi disperatamente gli ultimi metri mordendo la terra rossa coi chiodi della scarpa destra e scivolando dolorosamente sulla pelle del piede sinistro.
Il tutto tra le risa del pubblico, e delle mie compagne di classe.
Arrivai secondo.
Rideva anche il professore, che mi consolò per l’insuccesso, dicendomi “bravo … ma vedi come le bugie hanno le gambe corte?”
Franco
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