Polentoni
Quell’estate ci trasferimmo a Trento.
Ero entusiasta all’idea di andare a vivere in un’altra città, in mezzo alle montagne! Invece capii subito che avevo perduto il meglio della mia vita, che era rimasto a Vicenza: le compagne di classe, i miei amici, e poi Dario e Giovanna, che erano come fratelli per me.
Due giorni dopo il trasloco cominciò anche la scuola. Mi trovai in una classe di soli maschi! Un bel cambiamento rispetto al passato.
Sapevo che in Trentino c’erano gli orsi, gli ultimi orsi delle Alpi. Scoprii che si erano riuniti tutti in classe mia! Ragazzi privi di allegria, musoni, diffidenti … mi trattavano come un intruso, un estraneo.
In modo che io capissi, sentii dire da qualcuno di loro che il confine con l’Italia correva lungo il corso del Leno, il torrente della Vallarsa, sotto Rovereto.
Pensai che fin lì arrivavano i Dominii della Serenissima.
I più duri sostenevano invece che il confine era fissato a Mattarello, il quartiere meridionale della città.
Dopo Mattarello ci sono solo terroni, dicevano.
Mi prese un terribile senso di solitudine: esule, apolide, senza Patria.
Anzi no! La Patria ce l’avevo! Pensai con orgoglio che ero Veneto, e Venezia aveva fatto vedere il suo valore, anche militare, all’Arciduca d’Austria, e ai Trentini che erano suoi sudditi.
Mi capitò di dirlo, sputando un po’ di veleno, al mio compagno di banco, che voleva sapere da dove fossi sbucato. Ci restò malissimo, e due ore dopo, terminata la ricreazione, notai che tutta la classe era un po’ perplessa.
Intuii che nel pomeriggio ci sarebbe stato un veloce ripasso di storia, se mai i Trentini avevano studiato anche quella veneziana.
Il giorno dopo era cambiata l’atmosfera, e a poco a poco entrai a far parte, a pieno titolo, della quinta ginnasio dei Polentoni, come tutti chiamavano la mia scuola.
Nomen Omen, si diceva una volta.
Mi andava bene anche così: pietanza internazionale, la polenta. In effetti … particolarmente buona, sia col gulash, sia col baccalà.
Franco
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