Bo’
Intorno al Bo’ c’è un’aura di leggenda che spesso maschera la sua vera storia.
Già a partire dal nome, che in veneto significa bue, quasi di certo in riferimento all’antico albergo che accoglieva i mandriani che conducevano le loro bestie in città, chiudendole nel recinto loro destinato in prossimità del mercato padovano.
Quando molti studenti e professori di Bologna vennero a cercare rifugio a Padova, l’Università da essi fondata non venne collocata al Bò, dove oggi si trovano il Rettorato e le sale di rappresentanza, ma in altra sede, più piccola e certo non prestigiosa.
Ma questa è un’altra storia.
Il palazzo attuale venne infatti edificato sui resti dell’antico albergo circa tre secoli più tardi, e poi venne più volte ristrutturato, ampliato ed abbellito. Non era certo come lo vediamo oggi nemmeno negli anni in cui Padova ebbe Galileo come professore di matematica e di fisica. Erano quelli, tra la fine del ‘500 e i primi del ‘600, gli anni d’oro delle scienze e dell’arte, e anche Padova si arricchiva dei suoi palazzi più belli.
I Rettori, che erano studenti e pagavano direttamente lo stipendio ai professori, avevano trovato il metodo per selezionare i migliori: per ogni disciplina chiamavano due candidati docenti e li facevano impartire lezione contemporaneamente, in due aule differenti. Giorno dopo giorno venivano contati gli studenti che seguivano le lezioni nelle due aule, e al termine del periodo di prova veniva confermato il professore che aveva raccolto il maggior numero di presenze alle sue lezioni.
Galileo fu il primo cui non si applicò questo sistema di selezione. Alle sue lezioni venivano infatti anche comuni cittadini, ed in numero tale che venne deciso di far pagare qualche soldo per ottenere l’accesso alla sua aula. Tanta fu la folla che rumoreggiava per entrare, che a Galileo venne assegnata una nuova aula: ottenne la cosiddetta aula magna, non quella odierna, ma la sala più grande disponibile nella nuova sede dell’Università, cioè nel palazzo del Bo’.
Si narra che la gente non si accontentasse di ascoltare, ma che volesse anche vedere il grande scienziato: fu così preparata in fretta e furia una cattedra in legno dotata di un’alta pedana. Troppo poco: si dice ancora che la maggior parte delle duemila persone che si affollavano intorno alla cattedra non riuscisse a vedere il professore. La cattedra venne dunque più volte rialzata, fino ad essere posta ben dieci gradini al di sopra della folla estasiata.
Così la si vede ancora oggi, non più nell’odierna Aula Magna, ma nella sala adiacente, la cosiddetta sala dei Quaranta.
Ma anche questa è un’altra storia …
Franco
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