Da Porto

Ho già scritto di covoli, come quello del Bustione, in Valsugana, o quelli vicentini, sui Berici.

Avendo però ieri riletto alcuni passi dell’Historia del Guicciardini, m’è tornato alla mente Luigi Da Porto, che di Guicciardini era contemporaneo e come lui amava scrivere degli avvenimenti che travagliavano la sua terra a causa della guerra mossa a Venezia dalla Lega di Cambrai. Giovane sfortunato il Da Porto; Luigi rimase orfano dei genitori che era bambino, e venne cresciuto prima dal nonno paterno, a Vicenza, poi da uno zio, in terra di Romagna. Luigi era combattuto tra due opposte tendenze: da un lato l’amore per le lettere, e per la scrittura, per altro alimentato da un amico di altissima caratura culturale, il Cardinale Pietro Bembo, e dall’altro lato l’amore per le armi e per lo scontro sul campo. Col suo nome videro la luce molte novelle, tra cui la Novella di Giulietta e Romeo. Scrisse anche moltissime lettere con le quali, con una scrittura che le fa somigliare a delle novelle, racconta le terribili vicende che stavano martoriando il Veneto, invaso e devastato dalle truppe di Massimiliano. “Bande di masnadieri”, sosteneva sdegnato Da Porto. Posto da Venezia al comando di un reggimento di cavalleggeri, Luigi venne destinato ai confini del Friuli, dove gli scontri erano meno violenti e meno frequenti. Si fece comunque notare per il suo ardimento, vinse tutte le battaglie cui partecipò, anche la sua ultima, sul Natisone, in cui venne ferito al collo con un colpo di picca. Sopravvisse, ma rimase parzialmente paralizzato e dovette abbandonare le armi per dedicarsi alla sola scrittura.


Le Lettere di Luigi Da Porto che sto rileggendo a brani in questi giorni mi riaccendono ricordi d’infanzia, a Villabalzana. Dalla corte dei nonni il panorama si spalanca sulla valle verso la pianura, all’altezza di Lumignano. Sulla sinistra si scorgono le cave (i covoli) di Costozza, mentre sulla destra si nota la bocca, scura contro il candore delle rocce strapiombanti, del Buso della Guerra. Lì io e i miei cugini si andava in esplorazione, fieri del nostro coraggio e tremanti di paura per il buio, il soffio freddo che veniva dalle viscere del monte, e lo stridio dei pipistrelli, che per noi erano fantasmi celati dall’oscurità. Non si aveva coscienza delle terribili vicende accadute lì vicino quasi cinquecento anni prima di noi e narrate da Da Porto. Scriveva il nostro guerriero-letterato: “… partiti dunque questi fanti tedeschi (300 ladri ed assassini) daVicenza, vennero primieramente al Covolo di Costozza, il quale non è il più esteso, ma il più raro e più nobile per essere di sito più forte, e per avere in sé un laghetto di ottima acqua; … nelle sue caverne l’aere agevolmente condensandosi si tramuta in acqua, e manda sempre un gran vento contra chi cerca di entrarvi; questo vento spesso ammorza la face con cui s’usa di andare, mentre il luogo poco innanzi si rende oscurissimo”. Ecco descritti i motivi della nostra paura, e quello delle nostre mamme: l’aria fredda, l’acqua e il fango e, soprattutto, il buio. 

Della morte di più di mille persone, perlopiù donne coi loro bambini, uccisi col fumo dai tedeschi nel vicino covolo di Mossano, per fortuna nulla sapevamo.


Franco




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