Mattioli


Pietro Andrea Mathtioli, medico senense. Che personaggio! Quando l’ho incontrato, me ne sono subito innamorato. 

Per me è il massimo esempio di studioso, di osservatore, di critico verso il sapere dato per acquisito una volta per tutte. Ma anche un bell’esempio di ingegno letterario, tra i primi a comprendere il potere della stampa, e della diffusione delle informazioni. 

Mi stupisco ancora quando vedo che Mattioli (quasi sempre scritto senza h) ha pubblicato le sue opere in latino ed in volgare, e poi in francese, in tedesco e in ceco, in formato grande e in formato tascabile, con e senza illustrazioni. Insomma, il primo a comprendere come con le buone pubblicazioni si possono fare anche buoni guadagni. 

Ho letto con grande pazienza molti passi dei suoi volumi, quasi tutti dedicati alla botanica, che ai suoi tempi, visse nel cinquecento, era scienza di base per la medicina e per la cura farmacologica delle malattie. Con grande acutezza egli ne colse anche le potenzialità come strumento importante per il sostegno di altre attività, meno qualificate della medicina, ma non meno importanti per l’economia dei Paesi, come le costruzioni, l’industria, l’ebanisteria. 

Insomma, un genio! Di Andrea Mattioli ho seguito i passi della vita, dagli studi padovani alle esperienze mediche, prima in Italia e poi in giro per l’Europa, con incarichi sempre più prestigiosi conferitigli dapprima da Bernardo da Cles, Principe Vescovo di Trento, e poi presso la casa Imperiale degli Asburgo, imperatori del Sacro romano Impero. 

L’ultima volta che incontrai Mattioli fu nel Duomo di Trento, dove si può ammirare la sua effige e leggere una sorta di laudatio funebre, che proprio è l’antitesi del personaggio. Lì si coglie soprattutto ciò che il grande medico e lo studioso meno apprezzava: i titoli altisonanti, onorifici e nobiliari, che gli vennero via via attribuiti durante la sua vita peregrina al seguito dei grandi del tempo. 

Credo che Mattioli amasse invece il silenzio, le camminate in montagna, l’osservazione e l’interpretazione delle piante, e del loro ambiente. Quando gli fu concesso, visse per anni e anni in Val di Non, allora quasi deserta, e poi sul Monte Baldo, che ancora oggi è il paradiso dei botanici. Gli piaceva esercitare il suo mestiere medico tra la gente semplice, anche tra i poveri, perché il suo spirito veniva nutrito dalla curiosità per la vita, e le sue “magagne”, e dalla osservazione di come evolvevano le malattie grazie ai rimedi trovati e sperimentati. 

È lo stesso spirito che si ritrova nei suoi scritti, dove non lesina le critiche ai colleghi, spesso saccenti ed anche indispettiti dai cambiamenti della scienza proprio da lui stimolati.

Triste destino, il suo. Dopo la sua morte, per peste, le sue opere medico-botaniche per secoli furono considerate le fondamenta preziose di quel sapere che tanto egli amava. Poi, come sempre accade, anch’esse vennero superate, e gran parte dei suoi libri venne smembrata per ottenerne stampe graziose ed importanti da appendere alle pareti. Sono quasi certo che pochi, osservandole, comprendano il sapere che quei disegni e quelle parole racchiudono.


Franco




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