Mina
Dalla confusione che domina incontrollata sul mio tavolo, in studio, ogni tanto riemerge una antica moneta greca. È una copia d’ottone di un oggetto antico, forse di duemilacinquecento anni fa. Una mina.
Me la regalò il Professore quando mi fu assegnata la cattedra che fino a poco prima era stata la sua. La usava come fermacarte, e ho mantenuto anch’io quell’abitudine, sempre lì, sul tavolo di lavoro. Quando riemerge dai libri e dai fogli che a poco a poco la ricoprono, vengo travolto ancora da cento ricordi, e pensieri.
Certo la mina non era una moneta da portare in saccoccia. Ci sarebbe voluto un sacco robusto per uscire a fare la spesa con un po’ di quelle monete. In verità, per gli acquisti quotidiani, come li intendiamo noi, non servivano le mine, ognuna delle quali era composta da quasi mezzo chilo d’argento. Forse bastava qualche dracma, poco più di quattro grammi del metallo prezioso. L’obolo valeva ancora di meno: solo tre quarti di grammo, cinquanta dei nostri centesimi.
Insomma bastava un borsellino di oboli e di dracme per fare gli acquisti quotidiani al mercato.
La mina originale d’argento, simile nell’aspetto alla copia d’ottone che tengo in mano, era usata anche come peso campione. Era il riferimento per costruire correttamente i pesi di ferro, piombo od ottone come quelli che, fino a non molti anni fa, si usavano sulle bilance a piatti, o sulle stadere. La mina pesava mezzo chilo, o meglio, quattrocentocinquanta grammi, circa come una odierna libbra anglosassone.
Donata a chi arrivava in cattedra dopo anni di ricerca e di insegnamento, quella mina simbolica poteva valere come un augurio importante: un po’ di peso ora ce l’hai, fatti valere! Peso e valore: la stessa cosa.
Ai tempi d’Aristotele valevano la cultura, l’impegno, il lavoro e la fatica. Oggi molto è cambiato, anche il significato della parola, come se i riferimenti per il governo della nostra società siano crollati, sgretolati a colpi di mina.
Franco
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