Viola
Ieri, in Accademia Galileiana, è stato ricordato un grande storico padovano di recente scomparso: Angelo Ventura. Al microfono si sono alternati due suoi allievi, che ne hanno illustrato la figura scientifica e quella umana. Di Ventura io conoscevo poco o nulla, a parte alcuni episodi legati alla politica e agli attentati compiuti contro alcuni professori della nostra Università nei cosiddetti anni di piombo. Ieri è stato ricordato un curioso episodio: venne chiesto a Ventura quale fosse il suo fondamentale riferimento scientifico e letterario, cioè quali fossero, nel panorama dei documenti storici e degli scrittori del passato, quelli cui Ventura attribuiva maggiore chiarezza di pensiero e autorevolezza. Egli rispose in maniera secca e decisa, con un solo nome: Francesco Guicciardini. Un bel salto indietro di cinque secoli, fino alla metà del cinquecento.
Sentendo quel nome, mi sono distratto, travolto da una cascata di altri ricordi, soprattutto di letture, come sempre frettolose, che anni fa avevo compiuto per alimentare alcuni racconti del mio libro “Gli alberi ricordano”. Molte altre letture mi erano anche servite per dare corpo ad un voluminoso diario riguardante la mia famiglia, dalle presunte origini fino agli anni della mia giovinezza.
Sono tornato a casa ancora emozionato e confuso, ed ho cercato subito i miei appunti di allora, mentre mia moglie non lesinava battute sul mio rinnovato entusiasmo per i ricordi di famiglia.
Eppure eccolo qua, il Guicciardini. In uno dei venti libri de La Historia d’Italia egli scrisse della calata su Venezia di Massimiliano d’Austria, il Cesare che, intorno al 1510, ambì senza successo a fare propri i possedimenti della Serenissima.
Scrisse Guicciardini che, qualche anno dopo questa prima avventura, le truppe imperiali tornano in Italia, questa volta contro i Roma. … circa ventimila Lanzichenecchi, Bavaresi e Tirolesi, al comando del principe di Frundsberg, marciarono da Trento fino a Roma, divisi in trentotto bandiere, cioè reggimenti. Poiché le uniformi erano eguali per tutti, per distinguere in battaglia le diverse formazioni i soldati dovevano facilmente riconoscere, senza esitazione, le bandiere dei reggimenti, vessilli che a questo scopo avevano colori sgargianti, in tinta unita o in bande alternate. Ogni soldato portava al braccio una fascia di stoffa coi medesimi colori.
Dopo il sacco di Roma l’esercito imperiale, falcidiato dalla peste, si sciolse.
Uno dei trentotto reggimenti non tornò subito verso la Baviera, ma affrontò un viaggio lungo e tortuoso, ponendosi al soldo di molti signorotti italici, dapprima in Sicilia, poi in Calabria, in Puglia e, infine, anche in Trentino. Qui il reggimento si sciolse, ma molti soldati restarono al servizio permanente del signore di Castel Belfort, un maniero ancora visibile alle porte di Andalo, quasi al passo che unisce Anaunia e Giudicarie.
Lì un intero paese è formato da famiglie col medesimo cognome: Viola. È il nome dato dalla gente locale ai nuovi arrivati: era il colore della fascia che questi portavano al braccio.
Che sia questa l’origine della mia famiglia? Ancora sta storia, ride mia moglie …
Franco
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