Amatriciana
Paolo era stato mio compagno di banco, in seconda e in terza liceo.
Non era molto loquace; anzi, potrei dire che era assolutamente silenzioso, schivo, e riservato. Per certi versi era uno studente modello: sempre attento e riflessivo, quando parlava diceva cose sensate e corrette. Per questo era adorato dai professori, e benvoluto anche dai compagni di classe.
Si iscrisse a Fisica, e lo persi di vista, come quasi tutti gli altri compagni del liceo.
Lo ritrovai l’ultimo anno d’università. Avevo lasciato la casa dello studente e per qualche mese alloggiai in uno studentato composto da piccoli appartamenti: una stanza con due tavoli e due armadi-letto, bagno e cucinino ricavati in un budello lungo tre metri e largo uno. Lo divisi con Paolo, in attesa di laurearci. Si stava bene insieme, tanto più che lui studiava di notte e dormiva di giorno: dunque non ci si disturbava, e non ci si distraeva in chiacchiere, proprio come quando eravamo compagni di banco.
Per risistemare le stanze c’erano due signore, spicce ed efficienti. Con noi un solo problema: Paolo doveva alzarsi per qualche minuto per consentire alle signore di scuotere le lenzuola e di togliere la polvere anche da sotto il suo letto. Lui nemmeno brontolava: come uno zombie andava in bagno.
Una mattina proprio non voleva saperne di svegliarsi. Provammo per un po’ a scuoterlo, a parlargli, a toccargli le spalle e il viso. Alla fine le signore decisero che il letto di Paolo sarebbe restato com’era, ma per dare alla stanza una parvenza di ordine e di pulizia, decisero di chiudere momentaneamente il letto nell’armadio, stringendo le cinghie con cui veniva fissato il materasso. Insieme al materasso strinsero anche lui; non si svegliò; continuò il suo sonno dentro l’armadio. Io, impegnato nella preparazione dell’ultimo esame, mi dimenticai delle signore, delle pulizie e … di Paolo.
Venne un ragazzo dello studentato con cui spesso si mangiava insieme: era quasi l’ora del pranzo e voleva decidere se andare in mensa o se eravamo disponibili per una pastasciutta da mangiare lì in stanza, in tre o in quattro come spesso si faceva.
Paolo dov’è? - chiese guardandosi intorno.
A me va bene una pasta, una amatriciana, se possibile - rispose l’armadio …
Va bene, la preparo io, disse l’amico senza troppo scomporsi.
Solo per un attimo mi parve che nella stanza aleggiasse un velo di follia.
Franco
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