Bontà 


Quante cose buone mi preparava la mamma pur di farmi mangiare. E ingrassare! 

Ero magro come un chiodo, diceva; quell’espressione l’hanno ripetuta per anni, fin quando terminai l’Università. Un mio professore, quando divenni suo assistente, a vedermi rideva: se ti fotografo con una lampadina dietro la schiena, ne vien fuori una radiografia. Ossa fu il mio nuovo nomignolo.

Cominciai ad ingrassare solo qualche anno più tardi: evidentemente mia moglie è riuscita là dove gli sforzi ventennali di mia mamma erano falliti. 

Ne ricordo ancora alcuni, forse i primi. Ad esempio, seguendo una antica tradizione brasiliana, mi cuoceva le banane nel burro e poi le caramellava: le copriva cioè di zucchero che poi bruciava col ferro della stufa arroventato sulla fiamma. Già solo il profumo dello zucchero abbrustolito avrebbe dovuto mettermi addosso un po’ di ciccia; ma restavo un chiodo, lungo e sottile. 

Più efficace doveva esser il panino che mi preparava nei pomeriggi d’inverno, a merenda: pane all’olio, o al burro, farcito con la sopressa abbrustolita nel tegamino: una follia per i dietologi di oggi! Questa la ricetta: prendete un panino tondo, alto tre dita e morbidissimo. Tagliatelo a metà come per un sandwich. Tagliate poi una grossa fetta di sopressa e mettetela sul fuoco vivo, in un padellino: in un attimo perderà tutto il suo grasso. Non gettate il grasso fuso, ma fatelo colare su una metà del pane; l’altra metà mettetela nel tegamino in modo che assorba per bene l’unto residuo. La fetta di sopressa fritta sistematela tra le due fette di pane, cioè … più che pane, grasso fuso. 

Nemmeno così mettevo addosso qualche grammo di ciccia. 

D’estate, lasciata la sopressa, arrivavano le spremute d’uva, l’uva più zuccherina: la framboise, detta con l’elegante francese della mamma. Spremute squisite! Mai nessuno ha pensato alla glicemia. A forza di caramelle allo zucchero, quelle tonde e coloratissime come le biglie di terracotta di quegli anni, la mia glicemia doveva però già essere arrivata sulla luna. 

D’autunno, con l’avvio della scuola, arrivava invece il castagnaccio, quello venduto da un “casolin” che faceva affari con le merende per gli alunni delle elementari. Castagnaccio per merenda a scuola e poi per merenda a casa. 

La sera, a fine cena, la mamma mi serviva un dolcetto tagliato a rombo e fatto di una crema dolcissima, crema fritta di Chioggia, gialla come l’oro: zucchero, uova e farina … e zucchero ancora. Una bomba! Andrebbe fritta, diceva la mamma, ma così è più leggera … 

Inutile … il mio peso non crebbe, nemmeno così. A forza di zuccheri solo il conto del dentista di casa superò la luna e salì fino alle stelle!


Franco




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