Bravo
Non ricordo dove io ed Eugenio dormivamo, a casa sua, al Lido. Forse con le nostre mamme; è solo uno dei tanti tasselli che mancano al mio puzzle. Altre tessere, invece, sono molto evidenti, mi saltellano intorno come un cagnolino che vuol giocare e mi riportano indietro di settant’anni.
Zia Irma suonava il pianoforte, ed Eugenio amava suonare con lei. Non so se fosse bravo alla tastiera, ma di certo lo sapeva fare e gli occhi gli brillavano quando la stanza si riempiva delle note che scaturivano dai tasti sfiorati dalle sue lunghe dita. Era un piano a coda, grande, ed occupava un salottino di casa, al primo piano. Ricordo zia Irma ed Eugenio seduti uno accanto all’altro alla tastiera e noi tutti intorno, sui divanetti accostati alle pareti, o sulle sedie recuperate dalla sala da pranzo. Suonavano a quattro mani, in perfetta armonia; la zia sorrideva soddisfatta; Eugenio ogni tanto rideva di gioia, soprattutto quando le loro mani si incrociavano sulla tastiera. Ecco, in quelle occasioni gli occhi gli si accendevano, aveva l’aria felice, gli piaceva cogliere l’ammirazione di chi stava ad ascoltarlo. Tutti applaudivano, alla fine, ed io ero felice per lui, orgoglioso del suo successo.
Si mangiava nella grande sala da pranzo. C’erano due porte spalancate che davano sul poggiolo; una grande finestra si apriva invece sul giardino. L’aria era sempre mossa, in tinello, durante i pasti, e si stava bene nonostante il sole ardesse con tutta la sua rabbia di mezza estate. La mia mamma s’inquietava sempre con me, perché non mangiavo; la zia ripeteva le stesse parole a mio cugino. Eravamo magri come chiodi, ma stavamo bene così, anche senza mangiare. Ridevamo dei rimbrotti materni … tanto di lì a poco saremmo scappati da qualche parte, a giocare, a combinare qualche malanno.
Qualche volta si mangiava in spiaggia, ovvero nel capanno che la zia aveva affittato per tutta la stagione. Le mamme portavano i panini da casa, e noi li sgranocchiavamo stando in veranda, o seduti sulle sdraio sotto l’ombrellone. Dovevano passare almeno tre ore dal pasto prima di poter giocare in acqua. Allora si stava sulla sabbia, in qualche angolo d’ombra, e si giocava con le biglie, o si sfogliava qualche giornaletto.
Eugenio era un pozzo di scienza: sapeva farmi stare a bocca aperta, raccontandomi cose strane, di storia, di sport, di faccende incredibili che accadevano qua e là in giro per il mondo. Lui si che sapeva di motori, di automobili o di aerei, di record e di prove di temerarietà di questo o di quel pilota finito nel Guinness dei primati. Qualche volta ho pensato che si inventasse quel che mi raccontava: ma era bello lo stesso.
Il tempo passava, ed io stavo bene assieme a mio cugino.
Franco
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