Fures
A volte la statistica può cambiare la vita. Ad esempio …
Fures privatorum … in compendibus aetatem agunt, fures publici in auro atque in purpura.
Bello l’aforisma di Catone su certi politici; l’avevo trovato sul Corriere. Lo lessi, e lo tradussi, a Enzo, mio fratello, che leggeva in poltrona davanti a me: i ladri di piccole cose private finiscono in catene, anche per lungo tempo, mentre chi ruba denaro pubblico vive nelle ricchezze e spesso negli onori. Proprio in quel momento mancò la luce. Attendemmo un poco al buio, poi mi alzai a cercare le candele.
C’erano sempre stati problemi con le linee elettriche, su in montagna. O a causa della neve, o per il troppo vento, o per neve e vento che, collaborando tra loro, schiantavano alberi che finivano sui cavi; fatto sta che spesso la luce se ne andava, sia d’estate, sia d’inverno. Molto romantiche le candele montate sulle piccole bugie di ottone acquistate dal robivecchi. Certo è che prima di accenderle bisognava trovarle, ed anche l’accendino, o i fiammiferi, brancolando nel buio. Poi c’era il problema del frigorifero, e del cibo che correva il rischio di deteriorarsi.
Così, quando l’ENEL decise di cambiare le linee elettriche usando cavi più grossi montati su tralicci d’acciaio, si fece festa in paese.
Andando a spasso, mio fratello ed io scoprimmo un reperto della vecchia linea elettrica: un pezzo di palo di legno, spezzato e verde per l’impregnante antimuffa, che era stato abbandonato tra le erbe di una cunetta di scolo ai margini della strada che conduceva al bosco.
Che peccato, disse Enzo … ci farebbe comodo nell’orto …
Se ci vedono mica ci ringraziano, gli obiettai.
Figurati … sono anni che è lì … fu la risposta.
Qualche giorno dopo Enzo mi disse d’aver incontrato un suo vecchio studente, diventato, nel frattempo, capo delle squadre ENEL lì in valle. Gli aveva parlato del palo spezzato. Nessun problema, gli aveva risposto, ne faccia quel che vuole.
Ma la gente mica lo sa, e io mi vergogno a farmi vedere … tutti penserebbero che lo sto rubando, mi venne da rispondere.
Così recuperammo quel mezzo palo all’una di una notte scura, con la luna nuova d’agosto.
Camminammo verso casa passando per i prati, con il legno in equilibrio sulle spalle, senza poter vedere dove posavamo i piedi.
Attento alla buca, esclamai a voce alta in modo che mi sentisse Enzo che camminava dietro di me.
Sei tu, Franco, ci sono problemi? Domandò una voce nel buio …
Mi si gelò il sangue nelle vene. Calcolai le probabilità statistica di trovare qualcuno, all’una di notte, in mezzo ad un prato, ai margini di un paese di duecento anime.
Per contare gli zeri non mi bastavano le dita!
Facemmo scivolare il palo a terra con un movimento lesto, delicato, silenzioso. Poi azzardammo qualche passo al buio nella direzione della voce.
Ah, Virginio, è lei … no … no … tutto bene, io e Enzo eravamo qua al buio per vedere le stelle cadenti … ma neanche una, stasera … e lei, che ci fa a ‘sta ora in giro per i prati?
Non riuscivo a dormire, rispose Virginio abbottonandosi i pantaloni …
Finì lì, grazie a dio. Il palo lo recuperammo la mattina dopo, presto … molto presto, perché nessuno ci vedesse.
Giurai che in futuro non mi sarei più messo in simili situazioni. Apparire come un ladro per recuperare un palo, per altro inutilizzabile anche per farci fuoco, non valeva proprio la candela. Non sarei diventato ricco, né sarei stato pubblicamente lodato.
A parte l’umore, anche la mia faccia aveva assunto una strana coloritura … verdognola, come il palo, che era finito nello scantinato, sotto terra.
È il colore della miseria … e della paura … degna dei fures privatorum, sottolineò mia moglie, in latino. Che finezza!
Franco
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