Greco


Si sedeva spesso sul banco di Mario, una gamba distesa a toccare per terra, l’altra sollevata, così da farla dondolare. Portava la tonaca, col bordo coperto da un cordino viola, da monsignore. Ma tutto poteva sembrare, fuorché un prete. A cominciare dalle scarpe, che erano da montagna, e mostravano sempre d’essere state usate di fresco, con terriccio ed erba incastrati tra i tasselli del carro armato. Suole Vibram, durano una vita, diceva, quasi con orgoglio, perché per lui quelle suole erano il massimo per camminare in montagna. Si, amava camminare sui monti, e far fatica. Mi fido solo di queste, diceva, spesso col toscano spento tra i denti. Batteva la mano sulla gamba. Non mi tradiscono mai, basta tenerle in uso, sempre calde, sempre pronte. Per questo si deve camminare, e tanto, a lungo, salita e discesa … Anche le braghe erano quelle giuste, di fustagno. Qualche volta le portava anche alla zuava, con dei calzettoni grigio scuri, di lana pesante, come quelli che si usavano per sciare, messi sopra i calzini d’ogni giorno.

Le confidenze terminavano lì. Si metteva subito a parlare in latino, o in greco. Era la stessa cosa, per lui: latino, greco, ma anche tedesco o dialetto della Vallagarina; erano equivalenti. Non si capiva se traducesse dall’italiano o se pensasse nella lingua in cui parlava. E declamava, con sentimento, canti dell’Odissea, o brani di Virgilio, o di Cesare; cambiava poco. Per noi era comunque un incubo, perché citava e declamava, e poi ci chiedeva di tradurre, di interpretare le parole, di trovarne d’equivalente in italiano, di entrare nello spirito della lingua, che morta non era, ma era impossibile da volgere in italiano, a meno che non fossimo capaci di immedesimarci in Omero, o in Cesare, o in Cicerone. E vivere nei loro tempi.

Odiato ed amato, come diceva Catullo. Oggi lo ricordo con nostalgia. Prete strano, cacciatore che ci parlava della sua doppietta come se fosse la sua amante, ma ci faceva capire che quasi mai aveva accoppato qualche creatura, perché era entrato appieno nello spirito di Francesco. Mai ci aveva raccontato che era stato sottosegretario alla cultura nel governo di Salò. L’ho saputo anni e anni dopo la mia laurea, quando mi dissero che lui era ormai in pensione, e si stava spegnendo. Che bravo insegnante! Umano e duro come un bastone, severo e comprensivo come un padre, un’enciclopedia che sapeva parlare con gli ignoranti. 

Insomma, tutti noi avremmo voluto essere come lui … tonaca a parte!


Franco




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