Minosse


Era una passeggiata che adoravo. Dopo il pomeriggio passato a studiare con Mario, tornavo a casa attraversando tutta la città: piazza Dante, piazza Duomo, piazza Fiera, poi l’ultimo strappo e finalmente a cena.

Erano circa venti minuti, ma poteva durare di più. Se c’era il tempo, mi piaceva fermarmi qua e là ad ammirare qualcosa della mia nuova città. Stupendo il monumento a Dante, col poeta che guarda verso nord e sembra ammonire chi avesse voluto tentare una nuova calata in Italia. Erano parole del mio preside, professore di greco e di latino, che non mascherava la sua passione politica: molto conservatore, quasi nostalgico. La piazza accoglieva anche un laghetto, con papere e pesci rossi; spesso portavo pezzetti di pane, e così provocavo gare di velocità tra gli abitanti di quel mondo, sopra e sotto l’acqua. C’erano anche pavoni, ma era meglio starne alla larga: belli, ma aggressivi. A volte andavo a salutare la povera aquila chiusa in voliera. Qualcuno sosteneva che fosse inabile al volo, ma era grande, e fiera, e a me trasmetteva il senso della prigionia, dell’impotenza contro le sbarre della sua gabbia. Del Duomo mi fermavo ad ammirare l’abside, con quelle strane colonne, sottili e vezzose, che ornavano le alte vetrate. A metà altezza erano annodate! Sorridevo sempre all’idea di qualcuno che s’era cimentato nell’impresa di piegare il marmo in quel modo; ma anche con martello e scalpello non doveva essere stata un’impresa da poco. Poi venivano le candide mura della città, l’ultimo brandello rimasto, simbolo di una estrema difesa contro chi avrebbe potuto assalire Trento da Sud. Venezia nel quattrocento? L’Italia nel ‘18? Sempre a difendersi da qualcosa, Trento, con Dante, o con le mura!

Prima di arrivare a casa mi restava il tempo per pensare ancora a Dante, alto sul suo monumento. Sotto di lui c’è un altro, terrifico e pensieroso personaggio, col braccio poggiato al ginocchio e la mano a sostenere il mento, la coda avvolta intorno al corpo. 

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia; esamina le colpe ne l’intrata: giudica, e manda secondo ch’avvinghia. 

Accidenti a quei versi che mi tornavano sempre alla mente! Era un attimo, e Minosse si trasformava nei professori che l’indomani sarebbero saliti in cattedra, arcigni e pensierosi … pronti  al giudizio …  grazie a dio sprovvisti di coda.


Franco



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