Moena
I prossimi sarebbero stati otto. E sarei andato in terza.
Ero molto alto, per la mia età. Lo dicevano tutte le mamme che chiacchieravano sedute sulle panchine sistemate davanti a casa. Però ero il più piccolo della banda: una decina di bambini che in quell’agosto del ’54 erano in vacanza a Moena.
Perché il papà avesse affittato un appartamento a Moena non lo so: forse a scuola, a Trento, dove da poco era diventato preside, qualcuno glielo aveva affittato. Era una casa grande, e ci stavamo tutti, compresa la Gemma e per un poco anche la Pina di Villabalzana. Una bella tavolata, con le finestre della cucina che si aprivano sulle montagne.
A me non interessavano le montagne: davanti a casa, e poi tutto intorno, c’erano prati immensi, dove si poteva correre a perdifiato, e urlare senza che nessuno si lamentasse per il baccano. E poi c’erano ruscelli d’acqua gelata, e limpida, che venivano cantando giù dal pendio, e lì si beveva tutti, e ci si lavava il viso e le braccia quando eravamo sudati. Si giocava alla guerra, cinque contro cinque, tirandoci addosso le bacche del Sorbo, o le pigne, e poi a far gare infinite a darsela, o a palla prigioniera, o a palla avvelenata, o semplicemente a calcio, con la palla che ci scappava dalle mani e rotolava verso il paese … Quanti giochi c’erano allora!
La mattina accompagnavo il papà a prendere il giornale. Si camminava un poco lungo la strada, fuori dal paese. Al ponte sull’Avisio si scendeva tra i grossi massi nell’alveo del torrente, e il papà si metteva a leggere restando un po’ al sole, un po’ all’ombra. Io saltavo di qua e di là, giocando a fare dighe con le pietre, a cercare gamberi di fiume, o pesci, senza troppa fortuna. Ma l’acqua mi attirava, mi piaceva ascoltarne il gorgoglio, immergerci le mani fino a quando il freddo non cominciava a togliermi la sensibilità dalle dita.
Si tornava per pranzo, ed ero felice d’essere stato col mio papà per tutto quel tempo, ma ancora più felice ero al pensiero che dopo mangiato sarei corso giù sul prato a decidere con gli amici quale gioco avremmo fatto quel pomeriggio.
Franco
e la Pina, a Moena
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