Norpino


Ora lo chiamano backcountry, termine che a me dice poco. 

Quando anche da noi si cominciò a praticarla come pratica sportiva, era stata usata una parola che lasciava intendere le origini antichissime di quell’attività compiuta sulla neve: norpino. Evocava il grande nord, le distese innevate, le grandi distanze da superare con ai piedi gli sci, o le ciaspole. Perché? Per la fame e il bisogno di procurarsi il cibo, cacciando. 

Ne avevo letto sul giornale, durante le vacanze di Natale, a Ronzone. Lì si andava spesso con gli sci da fondo nel bosco, sopra casa, ed era bello affrontare le discese scivolando tra gli alberi, e faticare in salita con la neve che arrivava a mezza gamba, e fermarsi ad ascoltare il rumore degli animali che cercavano il cibo nella neve alta. Non li vedevamo quasi mai, ma ne potevamo seguire le tracce lasciate di fresco. 


Nevicò, tanto, tantissimo, e poi venne il sole. 

Andiamo a fare norpino? - chiesi uscendo di casa e gridando alla volta dei “Viola di sopra”, come chiamavamo la famiglia di Enzo, mio fratello. Aderirono con entusiasmo solo Ilaria e Giulio, i più piccoli, e i più scriteriati. Mia moglie scuoteva la testa, ma gli sci finirono agganciati sul tettuccio dell’auto e partimmo in tre verso il Passo delle Palade. 

Lasciai i polmoni sulla salita che d’estate si superava in dieci minuti, o poco più. Misi da parte la ragionevolezza mentre scivolavamo sui prati e attraversavamo i lariceti dove, il primo d’agosto, si consumava il rito della raccolta dei mirtilli. 

Stregati dal paesaggio fatato dalla neve, alta forse più di un metro, che copriva tutti gli alberelli più piccoli trasformandoli in fantasmi, affrontammo anche il bosco, come facevano i cacciatori di Svezia inseguendo la speranza di un grosso cervo affondato nella neve fino alla pancia. 

Difficile controllare gli sci. Se ne accorse Ilaria, che ridendo per la felicità, nel sole e nella neve immacolata, inforcò gli sci contro un fantasma appena appena segnalato da uno zuccotto di neve e trasformò il riso in un grido di dolore. 

Si era ammaccata un alluce e forse storta una caviglia. 

Ritorno penoso, lento, di sofferenza per lei, di disappunto per Giulio e di mille rimproveri silenziosi per me. 

Non ricordo il seguito. Freud avrebbe trovato buone motivazioni per questa rimozione dalla mia memoria. 

Però, di certo, il norpino, quell’inverno, non venne più praticato.

 

Franco



Commenti

Post popolari in questo blog