Sport


Non sapevo nuotare. Forse nemmeno Eugenio sapeva farlo. Il mare era invitante, con l’acqua pulita e limpida. La voglia c’era … ma tra il dire e il fare … Dalla spiaggia si protendevano verso il largo molti pennelli, di pietra, che servivano a proteggere la spiaggia dall’erosione; li chiamavano dighe. 

Una di quelle dighe, in particolare, ci affascinava: era molto larga, e coperta di tavole che permettevano di passeggiare sospesi sull’acqua; entrava in mare per qualche decina di metri, e al termine si apriva in una rotonda, una piattaforma da cui i grandi si tuffavano senza rischi di sbattere contro il fondo. Lo facevano anche i miei fratelli. Mi pare ci fosse, nel mezzo della rotonda, un chiosco che vendeva bibite, gelati e caffè. Era quello che più ci attirava, ma le nostre mamme non ci sentivano da quell’orecchio, immagino per i prezzi assurdi che vi venivano praticati. 

Andiamo alla rotonda - ci disse la zia mentre sguazzavamo nell’acqua bassa vicino a riva - andiamoci a nuoto. Ricordo la mia titubanza, ma vinse la curiosità. Così mi feci stringere con un braccio dalla zia che con l’altro nuotò lentamente fino alla scaletta che dall’acqua saliva fino alla piattaforma. La zia tornò a recuperare Eugenio. Morivamo dalla voglia di tuffarci, come facevano tutti da lassù, ma avevamo troppa paura del vuoto. Così restammo a guardare i nostri fratelli che nuotavano e si divertivano, tenendoci ben stretti alle mani delle mamme. 


Tornammo alla spiaggia camminando sulla passerella di legno. Eugenio ed io tentammo più volte di raggiungere, via mare, la scaletta cui ci aveva portati zia Irma. Io non ci riuscii mai: il nuoto non era lo sport giusto per me. 

Meglio la pesca ai granchi, praticata col retino, tenendo nell’acqua solo i piedi. 

Sui pali di legno e di cemento che reggevano la passerella, cioè la diga con in fondo la rotonda, si vedevano anche granchi, enormi agli occhi d’un bambino, alcuni di un colore verde cupo e ricoperti di peli, o di spine. Granzipòri - sentenziò zia Irma - meglio non toccarli. Vidi anche altri strani, enormi, granchi di colore rossastro. Granzevole, fu il nome indicatoci dalla zia. 

Forse furono le ultime dell’Adriatico. Ora vengono portate a Venezia dall’estremo Oriente. Surgelate.

Provai anche l’ebbrezza della vela. Con la barca arenata sulla spiaggia. Riuscii a cadere subito dopo la foto che mi scattò il papà. Caddi male, di schiena, e restai senza fiato per qualche secondo. Si preoccupò solo il papà, che non voleva appoggiare sulla sabbia la sua preziosa macchina fotografica. 

Così mi arrangiai da solo; ci stetti un po’ male, ma ci guadagnò il mio amor proprio. 

Almeno Eugenio, quella volta, non ebbe argomenti per prendermi in giro.


Franco



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