Viaggio


Ho ritrovato Eugenio dopo sessant’anni di silenzio. Un distacco lungo quasi una vita. Ho cercato di ricordare la nostra infanzia: avevamo vissuto dei lunghi e piacevoli periodi insieme. Vacanze ricche di giochi, di chiacchiere, di scoperte, di confidenze, di quelle che fanno crescere. Ma la memoria sfuma. Di quei tempi mi restano solo immagini, come tessere di un puzzle maledetto: aggiungo una tessera al disegno e ne perdo altre, di continuo. Mi struggo nel tentativo di trattenerle, di restituire loro un senso compiuto collegandole all’immagine che sto componendo, ma quelle restano frammenti, vividi, ma monchi, e non mi danno la gioia che vorrei assaporare. Provo e riprovo ancora ad aggiustare il puzzle: resta incompleto, con vuoti che mi avviliscono. 


Stazione di Vicenza. Sta arrivando il treno. La mamma fa un passo indietro per non essere investita dal vapore … il papà raccoglie le valige … io guardo la locomotiva, nera ed immensa, che ci passa accanto coi freni che stridono e sbuffi di vapore candido che ci vengono addosso. Che ruote grandi … tante, che non riesco nemmeno a contarle … sempre che io sappia contare … sono nere, ma hanno parti dipinte di rosso, così che si vede che girano sempre più lentamente. Due ruote sono piccole, stanno davanti … le altre sono più alte di me, e sono unite da sbarre di ferro, che si muovono in avanti e indietro.

Ora sono seduto nello scompartimento. Poltrona comoda, morbida, rivestita di velluto. La accarezzo con la mano. Sto tra il papà e la mamma. Davanti a noi s’è accomodato un prete, che legge un piccolo libro col bordo delle pagine dipinto di rosso, come le ruote del treno. Arriva un signore; ha in testa un berretto come quello dei poliziotti. Chiede qualcosa al papà, che gli consegna delle carte. Il signore col berretto da poliziotto le buca con una pinza che teneva nascosta in tasca. Ha bucato le carte del papà, e il papà non si è arrabbiato! Non è da lui.

Siamo arrivati: Venezia! Sono stanchissimo. Il papà ha fretta, c’è da prendere il battello. Non so cosa sia il battello. Ma non posso chiederlo, tanto si va di fretta con la mamma che ansima dietro di noi. Siamo solo a metà strada - dice il papà - è ancora lunga …  dobbiamo arrivare fino al Lido. Il vaporetto corre in mezzo al mare: lo dico alla mamma con un filo di voce; sono mezzo addormentato. È la laguna di Venezia - la sento dire, ma già mi sto appisolando. 

È sera. La zia Irma ci sta aspettando all’imbarcadero. Mi fa festa, e mi bacia; sento che ha un buon profumo. Poi vedo mio cugino. Eugenio, abbraccia tuo cugino - sta dicendo la zia al suo bambino. Lo guardo bene: è più alto di me, e cammina svelto. Canticchia, è allegro. Ha i capelli ricci. Ogni tanto si ferma e legge le scritte al neon accese sopra le vetrine dei negozi lungo la strada. 

Far - ma - ci - a … sta leggendo Eugenio; sillabando. Legge una insegna luminosa dall’altra parte della strada, e non vede il lampione che gli sta davanti. Ci sbatte contro. Io rido, la mamma mi da uno scufioto, come dice lei in dialetto: Chiedi scusa, mi dice con aria dura. La zia mi guarda storto e consola il suo bambino, che è più alto di me, eppure frigna anche lui quando si fa male. Colpo di genio! Mi avvicino, gli stringo la mano, e camminiamo insieme, come due amici di vecchia data.

Via Erizzo - grida Eugenio ad un incrocio. 

Siamo arrivati - mi dice contento - siamo quasi a casa. 

Sono felice … il viaggio finalmente è finito. Lì intorno, da qualche parte deve esserci il mare.


Franco




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