Voigtländer


Il papà se l’era comperata che io ero davvero piccolo. Mi ricordo però la sua emozione mentre la studiava in tutti i particolari, con molta attenzione, con lo spirito dell’ingegnere. Si era fatto consigliare dallo zio Orio, che di fotocamere se ne intendeva, e che possedeva una Leica e una Zeiss di grandissima qualità, e di valore, irraggiungibili per mio papà. Lo zio gli procurò allora una fotocamera dall’aspetto un pò datato, ma dalle caratteristiche tecniche eccezionali: una Voigtländer, a soffietto. Formato del negativo 6x6, una cannonata per dettaglio e per risoluzione. Il papà ne era entusiasta, e portava sempre con sé quel gioiellino, con cui scattava foto dopo aver stimato l’intensità della luce e la distanza e poi calcolato, a mente, il tempo di esposizione e il diaframma. Foto splendide, anche se, dato il grande formato, per risparmiare il papà spesso si limitava a chiedere la stampa dei provini, cioè immagini ottenute per contatto, con la stessa dimensione del negativo. 

Rigorosamente in bianco e nero. 

“Anche queste ti aiutano a ricordare i momenti belli, od importanti, della vita”, sosteneva il papà, che spesso, con la mamma accanto, recuperava da una grande scatola metallica, che forse aveva contenuto un panettone, o un cappello, le buste coi negativi e con le sue fotografie. Guardavano, recuperavano la memoria di qualche momento lontano e poi chiacchieravano tra loro ricordando la lunga vita passata insieme.


Io scatto foto quasi ogni giorno. Con la fotocamera, ma anche, e sempre più spesso, col cellulare.

Mi spinge a farlo un’emozione che provo in un momento preciso, a guardare, ad esempio, la freschezza di una rosa, la delicatezza di un colore, una goccia lucente di rugiada, l’oro del sole che fa capolino tra i rami.

Spero sempre che lo scatto possa fissare per sempre quell’istante di respiro sospeso, il tremito che avverto nel petto, il lampo di gioia che mi inumidisce gli occhi.

Invece mi resta nulla.

A distanza anche di un solo giorno, facendo scorrere quelle numerose immagini sullo schermo del computer, quasi sempre mi chiedo cosa avrebbero dovuto ricordarmi. 

Sembrano tutte eguali, quelle foto, e nessuna mi trasmette appieno le emozioni che avevo provato.


Ecco, ricordo che lo ripeteva anche il papà: “l’obiettivo non vede col cuore … perfetto quanto vuoi, ma è sempre limitato … senz’anima”.


Franco



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