Aquila


La prima volta che l’avevo vista, mi ero spaventato a morte. 

Così, quando mi davano da sfogliare il libro sugli animali, evitavo con cura di posare lo sguardo su quella immagine.

L’aquila volevo proprio non vederla. Mi arrovellavo nell’ansia di capitare, per sbaglio, sulle pagine dedicate a quell’uccello. 

Quando avevo veduto quel disegno, avevo subito capito che ritraeva il più grande tra tutti i rapaci; era enorme davvero, e veniva mostrato mentre volava ad ali spiegate sopra le cime di montagne, altissime e paurose. 

Per me terrifici erano soprattutto il becco adunco, e gli occhi che parevano esprimere ferocia, cattiveria. Ma poi c’erano gli artigli, immensi, fortissimi. 

Con le unghie reggeva, in volo, una bambina! Era evidentemente morta; uccisa dalla stretta delle zampe. Si capiva che era stata rapita da casa, forse ghermita al volo mentre giocava in cortile, con la mamma accanto, e magari custodita anche dal cane.


Così, col libro sulle ginocchia, finivo con l’immaginarmi a Villabalzana, nella corte dei nonni. Il cane di mio fratello non mi lasciava mai: era la mia ombra, il mio custode. Anche la mamma e la Gemma stavano sempre accanto a me. 

Ma su in cielo volteggiava una poiana. Non è come l’aquila reale, ma … non si sa mai. 

Così, prima d’uscire di casa, scrutavo il cielo.

Però … perché dovevo spaventarmi? Quando un falco, o una poiana, veleggiavano sul monte, i contadini davano l’allarme e qualche volta richiamavano le galline nella corte. Avevo notato che anche quelle guardavano spesso il cielo, con un po’ d’apprensione. 

Ma se l’Amalia aveva timore per le galline, perché dovevo aver paura io, che ero ormai alto come lei? Anche se le mie sorelle, qualche volta, mi davano del pollo, ero davvero grande e grosso rispetto alle galline … 

Si, dai, di certo ero a prova di poiana, e forse anche di aquila reale!

 

Franco


Louis Figuier, Gli uccelli, 1869



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