Ecologia


Nei primi anni del XVI secolo, Tristão da Cunha, capitano di un vascello portoghese, scoprì un’isola sperduta nell’oceano Atlantico. Non potè sbarcarvi per esplorarla e prenderne possesso; non c’era alcuna spiaggia, e nemmeno una insenatura riparata dal vento e dai marosi: difficile scendere a terra. 

Da Cunha segnò l’isola sulle mappe e ad essa attribuì il suo nome, che venne accettato e confermato dai cartografi dell’epoca. Lo mantennero anche gli Inglesi che, quasi due secoli più tardi, vi sbarcarono e vi insediarono una piccola guarnigione ed alcune famiglie di contadini e pescatori.

Oggi l’isola è citata in quasi tutti i trattati di Ecologia. La sua distanza dai continenti, almeno 2500 chilometri dall’Africa e più di 3000 dall’America Meridionale, la rende infatti un ottimo esempio di isolamento ecologico. Lì, infatti, moltissime specie di piante e di animali si sono differenziate, distinguendosi per forma e per comportamento, dalle consorelle dei continenti “vicini”. 

Purtroppo, quando l’isola venne colonizzata, con le navi giunsero altre specie animali, come i topi, sempre presenti nelle stive. Non trovando predatori, i topi si moltiplicarono, e cacciando molte specie indigene, le portarono all’estinzione, ponendo a rischio la stessa sopravvivenza della piccola comunità umana che, per l’approvvigionamento di carne, faceva affidamento anche sulla caccia. 

Quale  soluzione per questo nuovo e inatteso problema? I gatti, ovviamente! 

Due secoli dopo l’avvio di questa strategia “naturale” di difesa, si dovette provvedere ad un nuovo intervento, la caccia ai felini che, in assenza di predatori, erano diventati una calamità ecologica peggiore dei topi che avevano sterminato.


Qual è la morale del racconto? Non sta a me indicarla. Ricordo, però, che molti specialisti della materia hanno sottolineato come le trasformazioni ecologiche generate dall'uomo sull’isola di Tristão da Cunha siano state considerate con leggerezza, come se non vi fosse stata possibilità, voglia o tempo di valutare la reale complessità del problema, che era pari a quella dell’ecosistema su cui si gravava. 

In quei tempi, però, mancavano le necessarie competenze. Chi mai in Europa aveva temuto la presenza dei topi in aperta campagna? E i mici, quando mai erano stati considerati pericolosi? 

Oggi se ne discute avendo sulle spalle un centinaio d’anni di studi e di esperienza. 

Però, nel frattempo, sono cambiate sia l’ecologia dell’isola, e del resto del mondo, sia la gente che vi abita.


Franco



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