Forêt jardinée


Mi si accende ancora viva la memoria di quell’accetta. La lama era stata in parte dipinta di rosso: sembrava insanguinata, come fosse un’ascia di guerra … forse il costruttore voleva così fare intendere che quello era un oggetto tosto, tagliente, pericoloso. Il manico era sagomato in maniera ai più incomprensibile, ma di certo tutti avrebbero pensato che grazie a quella forma il colpo avrebbe visto moltiplicata la sua potenza e i risultati sarebbero stati migliori rispetto alle attese. L’avevo ben soppesata, quell’ascia, e mi pareva perfetta. Della mia scelta era stato contento anche il ferramenta: vedrà che si troverà bene con questa. Non mi piacque il riferimento che il negoziante aveva fatto al giardino … Altro che giardino! Io quell’ascia l’avrei usata in foresta, una vera foresta! Mi venne in mente il mio professore, che era un patito delle foreste vergini. Ripeteva spesso che in natura le foreste si organizzavano come quella di lecci che avrei studiato in Sardegna, al Supramonte; lui contava di scoprirci i sistemi sviluppati dalla natura  per dare continuità alle foreste vergini. Pensi che in Francia le chiamano forêt jardinée  - mi diceva - che locuzione affascinante! 

Così il cerchio si chiudeva; ecco il giardino giusto dove usare la mia ascia con la lama sanguinante; mi vidi boscaiolo alle prese con la foresta amazzonica!

Invece non tagliai nessun albero. Trovai infatti un enorme leccio schiantato da una burrasca. Su quello avrei potuto fare tutte le misure che voleva il mio professore, e così, con l’ascia in mano, salii sul tronco schiantato con l’intenzione di recidervi un ramo. 

Alzai l’ascia impugnandola con entrambe le mani, presi la mira, riempii i polmoni con la speranza di accrescere le mie forze e vibrai il colpo …

La lama d’acciaio vibrò contro il legno del leccio. Il ramo si scalfì appena … forse ne cavai una scheggia di corteccia. La vibrazione invece si trasferì dalla lama al manico sagomato, mi attraversò le mani, percorse le ossa delle braccia e salì al cervello, stordendomi. 

Solo un istante più tardi sentii un dolore lancinante alla gamba sinistra. 

La lama, deviata dal legno, ma ancora assetata di guerra, finì la sua corsa contro di me. Grazie a dio ricevetti il colpo non dal tagliente, ma dal piatto della lama. 

Per un minuto, forse ancora di più, non vidi nulla: nero profondo. Poi vennero i puntini luminosi, poi il verde lucente della lecceta attorno a me, appena appena velato di lacrime, ma accompagnato dalla melodia della brezza che ne accarezzava le chiome.

Restai a lungo steso sul tronco schiantato. Pensai alla morte, e alla continuità della vita. Mi tornò in mente Lucrezio, con la sua idea di natura, e poi Haeckel, padre dell’Ecologia, con tutti i sui ragionamenti su individuo e comunità …

Passai la mano sulla corteccia scabra del leccio schiantato: una carezza, un grazie e una promessa: umiltà e rispetto di fronte a tutto quello che l’albero caduto significava per il bosco, e per le sue creature.

Chissà dov’è finita quella accetta. 

Avrei dovuto appenderla nel mio studio, simbolo di un cambiamento importante nella mia vita. Forse è rimasta in Sardegna, da qualche parte in Supramonte. Il posto giusto!

Un ex voto, per grazia ricevuta …


Franco



Commenti

Post popolari in questo blog